Parla l’onorevole Enrico La Loggia,
Ministro per gli Affari Regionali nel governo Berlusconi II, tessera numero sei di Forza Italia, in parlamento dal 1994 al 2013 al fianco del Cavaliere.
Onorevole La Loggia, com’è nato il suo rapporto con Silvio Berlusconi?
È nato nella maniera più naturale perché lui mi ha cercato insistentemente. Aveva sentito parlare di me, ma soprattutto di mio padre e di mio nonno e di tutto quello che la nostra famiglia ha fatto per la Sicilia. E quindi aveva questo desiderio di conoscermi per potermi coinvolgere in questa sua nuova avventura. Mi ha mandato Gianfranco Micciché, che io non conoscevo, che prima mi ha insistentemente cercato e poi ha tentato di convincermi a incontrare Berlusconi. Ed alla fine, seguendo il consiglio di mio padre, ho deciso di farlo.
Suo padre?
Sì, mio padre mi disse: “Un incontro non si nega a nessuno”. Papà era negli ultimi mesi della sua vita, purtroppo, ma tenne al fatto che andassi a conoscerlo. Quindi decisi di partire. Ci siamo visti in via Rovani per un incontro a tre, insieme a lui e Miccichè.
Di cosa avete parlato?
Silvio iniziò subito a parlarmi del suo progetto e io lo interruppi dicendogli: “Dottore, lei conosce tutto della mia famiglia e io non conosco niente di lei; intanto mi dica lei chi è e perché mi vuole coinvolgere in questa sua nuova iniziativa”. E lui con molta tranquillità, devo dire con umiltà, mi raccontò della sua vita, di come aveva iniziato, degli studi che aveva fatto, di come aveva utilizzato i primi soldi che gli venivano dalla liquidazione del padre, dei primi appartamenti, dei primi progetti, di Milano 2, fino ad arrivare alle televisioni.
Lei rimase affascinato?
Rimasi molto affascinato perché certamente si trattava dell’incontro con una persona che si rivelava straordinaria, fuori dal comune.
E sposò subito il progetto di Forza Italia?
No, non immediatamente. Volevo prima discuterne con mio padre. Nella mia famiglia abbiamo sempre avuto quest’abitudine, questo tipo di scelte si discutono insieme. Allora ne discussi con mio padre che mi disse: “Purtroppo la Democrazia Cristiana non c’è più e il Partito Popolare pare che stia venendo su male. Se lui accettasse di inserire nel programma di Forza Italia i principi fondamentali del cattolicesimo liberale, perché no? Chiediglielo”. Ed è stato così.
Quale fu la risposta?
Berlusconi mi disse: “Mi mandi ciò che vuole che venga scritto nel programma e io domani sera glielo manderò con le parti che vuole inserire”. A quel punto decisi di aderire perché era l’unico modo per continuare a perseguire gli ideali per i quali ero entrato in politica.
Lo spirito di quei primi anni quale fu?
Guardi, due cose mi interessavano e allo stesso tempo mi hanno coinvolto. La prima quella di questo nuovo progetto, cioè il fatto che lui interpretava il bipolarismo come mai nessuno aveva fatto fino a quel momento. Non che fosse lui a voler spaccare in due il paese, l’Italia in quel momento era spaccata in due. Tutta la parte che si riconosceva nei moderati, liberali e riformisti era rimasta senza rappresentanza. Quindi Forza Italia doveva nascere come la rappresentante di tutta questa enorme area presente tra i cittadini italiani. In secondo luogo la motivazione di una riforma delle istituzioni. Io a quell’epoca propugnavo il sistema presidenzialista. Oggi anche il premierato potrebbe andare bene, ma allora il presidenzialismo era un punto di riferimento. Mi entusiasmò anche la volontà di riequilibrio dei poteri dello Stato, tra questi politici in toga che imperversavano e che poi hanno sostanzialmente tormentato la vita di Berlusconi sino alla persecuzione, come poi la storia ha ampiamente dimostrato.
Il partito che contribuì a costruire nel ’94 quanto è cambiato?
Non c’è più. Io sono stato la tessera numero sei di Forza Italia, quindi questi cosiddetti “esponenti della prima ora” di Forza Italia mi fanno un po’ ridere. Prima di me c’erano solo i cinque che parteciparono alla firma dello statuto, per cui mi considero realmente co-fondatore. Quel partito con quell’entusiasmo e con quell’enorme qualità di persone non esiste più. Io ho fatto politica in Sicilia, sono stato assessore comunale tre volte, ma la qualità delle persone che facevano parte di quella squadra iniziale che andò dal 1994 al 2001 non aveva eguali in Italia ed era realmente di grandissimo livello. Purtroppo dal 2001 è iniziato il declino. Oggi di tutto quello, mi lasci dire, non c’è più niente. Né come qualità, né come intensità di impegno, né come passione politica. Non vedo più niente di tutto quello e questo mi fa molto rammaricare.
Se ci fosse una rappresentanza di qualità quell’elettorato ci sarebbe ancora?
Ma sicuramente l’elettorato che si riconosce in quell’area che avevamo individuato inizialmente c’è ancora. Ovviamente c’è stato anche un ricambio generazionale, ma c’è ancora un’area cattolica-liberale-riformista e secondo me è ancora maggioritaria. Bisognerebbe solo avere la forza, la capacità e l’inventiva di metterla insieme e soprattutto trovare un nuovo giovane leader. Qualcuno che abbia il quid, come giustamente chiedeva Berlusconi.
Assisteremo a una diaspora da Forza Italia o intravede la possibilità di una successione familiare o esterna?
Non credo alla successione familiare. I familiari da quel che si sa non hanno nessuna intenzione di impegnarsi in politica. Né vedo altri leader onestamente. Sono tutte brave persone, per carità, molti sono amici miei, ma nessuno di loro ha il quid, le physique du rôle, per stagliarsi rispetto a tutti gli altri prendendo in mano la bandiera. Quindi purtroppo temo la diaspora, che sarebbe veramente un peccato. Ma d’altronde anche io sono rimasto parecchio deluso negli ultimi tempi. Perché al di là di tutti i meriti di Berlusconi che riconosco – sono stato un suo sostenitore accanito in questi trent’anni – alcune scelte che lui ha fatto e certe persone che si è messo accanto, non erano per nulla all’altezza della sua visione e del suo programma per l’Italia. Non voglio fare paragoni impropri, ma ai tempi in cui accanto a lui eravamo, oltre a me, Pisanu, Letta, Martino, Urbani, se messi a paragone con quelli che ci sono stati negli ultimi tempi… non voglio fare paragoni!
Un ricordo di quegli anni?
Lavoravamo in piena sinergia con Berlusconi. Nei suoi interventi pubblici integrava sempre le nostre proposte, ci ascoltava molto. Ovviamente rielaborando sempre a modo suo, ma interpretando perfettamente ciò che noi gli volevamo dire.
Qual è stato il grande pregio di Silvio Berlusconi?
La capacità di innovare. Ha innovato in tutte le cose in cui si è cimentato, nel senso che inventava una cosa nuova che traeva origine dall’esperienza del passato, ma la inventava nuova e la rendeva affascinante, possibile, raggiungibile. E questo gli permetteva di coinvolgere tante persone.
E se dovesse trovare un difetto?
Forse la debolezza nei confronti dell’elemento femminile. Che è un difetto umanissimo, perdonabilissimo, comunissimo a tanti uomini, ma che ha costituito un suo fianco debole in cui si sono inseriti i magistrati, la politica cattiva e le maldicenze, ciò che in siciliano chiameremmo i curtigghi.
Se lo avesse davanti un ultima volta cosa gli direbbe?
Scegli meglio i tuoi collaboratori e sceglili all’altezza della tua altezza, allora potrai ancora reggere per parecchi anni e continuare a rinnovare questo paese. E credo che lui mi capirebbe e mi apprezzerebbe.