Adrano, intitolata a Padre Sicurella la sala di Palazzo Bianchi. Rosariani in festa: “Ci ha insegnato ad amare”

Adrano, intitolata a Padre Sicurella la sala di Palazzo Bianchi. Rosariani in festa: “Ci ha insegnato ad amare”

Alla presenza dell’arcivescovo di Catania, mons. Luigi Renna, si è svolta la cerimonia di intitolazione della sala al piano terra di Palazzo Bianchi di Adrano a don Pietro Sicurella, lo storico rettore del Rosario. Subito dopo la scopertura della targa marmorea contenente la scritta: “Sala don Pietro Sicurella – Anzitutto educare e il mondo sarà migliore”, si è svolto l’incontro “Una vita per i giovani, un amore per la Chiesa”, moderato da Angelo Pignataro, al quale hanno preso parte, oltre all’arcivescovo, il sindaco di Adrano, Fabio Mancuso, l’assessore alla Cultura, Salvo Italia, padre Nino Portale e padre Nino La Manna. A seguire le testimonianze dei rosariani sulla figura di don Pietro Sicurella. Particolarmente toccanti gli interventi di Angelo Pignataro e di padre Nino La Manna, che hanno commosso i presenti.

Qui di seguito il bellissimo ricordo del ‘Rosariano’ Angelo Pignataro.

Da quando Padre Sicurella non è più tra noi, si è detto nei suoi confronti tutto quello che ciascuna persona amata spera di sentirsi dire quale riflesso delle sue attitudini ad affrontare la vita.
Osservatore attento delle dinamiche parrocchiali e personali, riusciva ad entrare nel merito delle varie situazioni con discrezione ma in maniera risoluta per accomodare ogni cosa anche su eventuali frizioni nella comunità dei Rosariani, insegnando loro che collaborare in armonia è un dono e non un mero stare insieme per forza: un metodo che è diventato insegnamento di vita.
I suoi lunghi anni di sacerdozio appartengono a chiunque lo abbia conosciuto e, per ciò, momenti come questo non rappresentano un semplice e comune ricordo di una persona conosciuta, apprezzata e amata ma sono una tappa comune di un percorso importante, di fede, di carità, di amore, di forza.
È il ricordo di padre Sicurella: una festa che a lui dedichiamo. Una festa per lui, certamente; una gioia senza dubbio che condividiamo con quanti lo hanno conosciuto, con quanti lo hanno apprezzato e con quanti, proprio perché – come noi – lo hanno apprezzato e conosciuto, lo hanno anche amato.

Ha insegnato come si debba vivere la pregnanza dei momenti liturgici che oggi comprendiamo meglio nella loro profondità e nel loro significato intenso.
Quante cose, in tanti anni, sono state realizzate sotto la sua regia, grazie alla sua scrupolosa e capillare organizzazione e nulla è andato perduto.
Padre Sicurella continua a parlarci attraverso le sue intramontabili riflessioni, i suoi moniti, la commozione, con cui accompagnava le sue parole dal breve percorso del cuore.
Ci ha mostrato come l’amore di Gesù sia fruttifero e come possa superare i limiti terreni così intensamente da non potersi abbandonare all’oblio.
Ci ha insegnato che la Carità è dare senza chiedersi nulla e senza chiedere niente ed è, nel contempo, dimenticare ciò che si è fatto.
La carità che si affida alla memoria è contaminata dall’egoismo, dal voler generare gratitudine personale, dal ristoro, dal mettersi a posto la coscienza e dall’illusione di avere comprato un posto in Paradiso.
Il mero dono è cosa diversa dalla Carità: la carità è verso chi non potrà mai darti nulla ma veramente nulla in cambio neanche un semplice grazie, neanche un sorriso, neanche uno sguardo, neanche una minima considerazione, forse neanche volerti bene.

Il dono è aspettarsene un altro in cambio, in altra occasione. È un protocollo, a volte anche asettico. È un’abitudine: oggi tocca a me e domani a te. Un circolo vizioso che si deve fare perché è così e basta.
Carità, invece, per ricordarla come ci è stata spiegata da padre Sicurella, è volere bene a prescindere. È voler entrare nella vita di un altro con la discrezione di non volere offendere ma di diventarne parte integrante.
La carità, quindi, non va indirizzata solo a chi si vuol bene; quella è altra cosa. È capire che qualcuno ha bisogno e che noi abbiamo la possibilità di aiutarlo e siamo lì con lui senza sapere neanche come si chiami.
Negli immancabili momenti difficili della nostra adolescenza, abbiamo sentito il bisogno del conforto, la necessità di sentirci amati e protetti; la consapevolezza di sentirci ciascuno importante interprete di una dignità – non fragile, legata all’orgoglio umano o alle considerazioni personali – ma di quella dignità forte, convinta, ispirata, che solo l’appartenenza a Dio può garantire.

In questi momenti, dove tutto sembrava crollare, gigantesca appariva la figura di padre Sicurella che non intimoriva ma che, anzi, rasserenava come le sue parole che non sembravano  appartenere a questo mondo e che erano il preludio di una serenità che immancabilmente da lì a poco sarebbe arrivata per riaffermare la supremazia dello Spirito sulle incertezze, sulle debolezze, sullo sconforto, su tutto ciò che allontana l’uomo da Dio: era “semplicemente” questo padre Sicurella, un uomo innamorato di Dio, infilato per sempre in quella sua talare che non abbandonava mai neanche quando – tirandola su come se indossasse una gonna – scendeva a giocare a pallone nel campetto sterrato dell’oratorio del Rosario che profumava di quella macchia di gelsomini che ci salutavano dalle scale che tutti prendevamo per gustarne il profumo della fretta di andare a giocare e della stanchezza nel risalirle poi  soddisfatti di avere compiuto il nostro dovere del gioco condiviso, del gioco di squadra, che ci accomunava e che ci faceva sentire una squadra anche fuori dal campo.

Padre Sicurella non è stato uomo e sacerdote ma uomo-sacedote. Non è banale perché non è scontato, abituati come siamo ad affibbiarci dei ruoli secondo i vari momenti della nostra vita soprattutto quando – sbagliando – vorremmo dimostrare ciò che non siamo.
Padre Sicurella è stato uomo-sacerdote sempre, ponendo Dio innanzitutto, sostegno e punto di riferimento per quei giovani che ha amato sopra ogni cosa,  annullando, nella sua comunità, le differenze sociali e culturali; distruggendo qualsiasi cosa avesse potuto affrancare un giovane dall’altro, creando un afflato di solidarietà e di carità che ogni Rosariano ha avuto il privilegio di sperimentare e che, ancora oggi, è palpabile e stupisce chi non è abituato a queste dinamiche relazionali del cuore e della fede.

Siamo abituati a ringraziare i nostri Parroci per quello che ci danno perché pensiamo spesso alla figura del sacerdote come ad una entità asettica, a qualcosa che, per il suo status, non debba provare emozioni o meglio debba per forza saperle governare per mostrarsi sempre pronto e sempre graniticamente preparato al suo compito di aiutare, di prestare la spalla, di alleviare il dolore, di attenuare le difficoltà, di trasformare le incertezze in atti decisi e concreti. E questo avviene, lo vediamo ogni giorno ma quante volte, invece, non abbiamo pensato al sacerdote stanco, deluso, distratto dagli impegni parrocchiali e fiaccato dal doversi mostrare sempre forte.

Quante volte, chissà, anche padre Sicurella avrebbe voluto essere consolato, capito, sorretto e per tutte quelle volte che non siamo riusciti a carpirne questa essenza, questo profondo richiamo all’umanità e alle sue fragilità, abbiamo ieri risposto con l’affetto e con l’amore a prescindere dalla comprensione e, oggi, con l’immensa gratitudine per essere così come siamo, grazie alla cura della nostra famiglia e, certamente, grazie ad avere avuto il privilegio – non per caso – di essere stati educati nella fede da un grande uomo-sacerdote.
Il dono del Sacerdozio, infatti, è dono tra i doni: quello della vita, quello di poter scandire la vita stessa attraverso i Sacramenti è un dono speciale che ci ha insegnato. I sacramenti non sono un fatto privato tra ciascuno di noi e Dio ma rappresentano un rapporto dove ci stiamo tutti, diventando noi stessi dono perché ne facciamo parte intimamente.
Vivere il sacerdozio – come lo ha vissuto padre Sicurella – è qualcosa di speciale, nessuna chiamata è uguale ad un’altra ma viene interpretata in maniera originale, all’interno di un’esperienza speciale che entra nelle dinamiche personali e che fa conoscere come l’esperienza di Dio sia risolutiva e come la comunità riconosca, nel suo Parroco – Sacerdote per eccellenza – una guida, un punto di riferimento, un conoscitore profondo del suo gregge.

Chi si è rivolto a lui per cercare risposte, spesso ha ricevuto molto di più: ha ricevuto la chiave per capire, per comprendere, per guardare dentro di sé, per guardare negli occhi e imparare ad ascoltare, per trovare la forza che talvolta non si riesce a trovare, per dare coraggio alle tante incertezze, per superare le debolezze, per avere l’umiltà e il coraggio di chiedere scusa al Signore per le innumerevoli volte in cui si è stati fragili.
Questa è la forza del Sacerdozio che padre Sicurella ha vissuto concretamente: Sacerdozio offerto al Signore e rinnovato, negli anni, con la stessa intensità, con lo stesso fervore, con lo stesso entusiasmo, con la stessa gioia, del suo primo presentarsi al Signore, offrendoGli il suo “Eccomi”.

Essere stati vicino a lui, avere goduto di questo privilegio, ci ha fatto crescere e maturare nella fede, contestualizzando una nostra comune esperienza di impegno pastorale di giovani, diventati uomini e donne, impegnati nel tessuto sociale a testimoniare l’esperienza di una fede vissuta.
Ciascun anno del suo Sacerdozio lo ha certamente riportato a esperienze importanti e ciascun anno, aggiungendosi a quelli precedenti, si è sempre più arricchito nella maturità di una scelta, nella consapevolezza di un impegno e di una promessa, la cui responsabilità abbiamo testimoniato.
Ora come allora, c’è chi lo ha conosciuto: la comunità rosariana, antica e nuova, sente il bisogno di rivivere – anche nostalgicamente – la sua sensibilità e la sua accoglienza, con cui ha esaltato i differenti carismi, all’interno di un luogo che non è stato – e che non è – solo un luogo da sentire come casa ma anche e soprattutto il luogo dove vivere la consapevolezza di un impegno cristiano, in cui mettere a disposizione di tutti talenti, risorse, servizio e il valore della comunione in Cristo.
Il nostro grazie a te, caro e amato padre Pietro, ti giunga il nostro affettuoso saluto comunitario da chi ha vissuto l’esperienza unica e speciale che è cucita nei nostri cuori quale vissuto fondamentale indimenticabile.

Consideriamo questo come momento per una santa riflessione sul valore della vita e sul significato di essere cristiani nella quotidianità e di come la presenza di Dio nella vita di ciascuno di noi – testimoniata da fulgidi esempi come quello di padre Sicurella – ci dà forza, speranza e gioia profonda, concreta, sentita, viva, di appartenere a Lui, a cui ci affidiamo – per intercessione della Madonna e dei Santi a noi cari – per dirGli grazie per tutto e di tutto.
Padre Sicurella ci ha insegnato che la missione del suo sacerdozio non è stata un “fatto privato” tra lui e Dio ma un esempio che ci ha coinvolto, che ci ha attratto, che ci ha accomunato, che ha creato la comunione concreta di anime che considerano il mondo la più bella espressione della magnificenza di Dio.

Ciascuno di noi porti con sé, il suo sorriso, la sua serenità, le sue parole ispirate, la sua esperienza di uomo-sacerdote, l’entusiasmo, la dolcezza e la determinazione con cui ha vissuto e raccontato l’esperienza di Dio che ha sentito il bisogno di fare esplodere anche nel profondo dei nostri cuori fino a raggiungere il bisogno umano, l’emarginazione sociale, la fame, la devianza, il degrado, la resa, per trasformarli in riscatto dell’anima.

Che il Signore ci accompagni nel nostro cammino e ci renda benefica rugiada del suo Spirito contro la siccità del cuore di chi si affranca dal conforto della fede.
Questa sera torneremo nelle nostre case e porteremo con noi il ricordo – che non ci rattrista – di una persona speciale.
Lo racconteremo ai nostri figli, a chi non lo ha conosciuto, ai nostri cari, alle nostre comunità; racconteremo questa meravigliosa esperienza di grazia che il Signore ci ha concesso di vivere e racconteremo anche il “miracolo” di oggi che ci ha concesso di sorridere con lui e di dirgli semplicemente, teneramente, amorevolmente: grazie, padre Pietro.

 

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