Michela Murgia ha un tumore in uno stadio avanzato, al punto che «l’obiettivo non è sradicare il male, ma guadagnare tempo».
A rivelarlo è stata la scrittrice in una lunga intervista al Corriere della Sera, in cui racconta la convivenza con la malattia che le ha colpito i reni, per poi estendersi ad altri organi.
«Le metastasi sono già ai polmoni, alle ossa, al cervello – dice -. Il cancro non è una cosa che ho, è una cosa che sono. Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa. Il tumore è uno dei prezzi che puoi pagare per essere speciale. Non lo chiamerei mai il maledetto, o l’alieno». Murgia conferma anche questa volta il piglio di chi sa affrontare a viso aperto le difficoltà, come quando raccontò, nel suo `Il mondo deve sapere´, l’esperienza di lavoro precario in un call center, da cui poi il regista Paolo Virzì trasse ispirazione per il film `Tutta la vita davanti´. Già in passato l’autrice cinquantenne fu colpita da un tumore. Era il 2014, quando durante la campagna elettorale per la presidenza della Regione Sardegna scoprì di avere un carcinoma. «Avevo un cancro al polmone, era a uno stadio precocissimo, lo riconoscemmo subito», racconta. Funesta, questa volta, la diagnosi. «A causa del Covid avevo trascurato i controlli – osserva -. Ero al punto che non respiravo più. Mi hanno tolto cinque litri d’acqua al polmone. Stavolta era partito dal rene».
Sui social in migliaia le rivolgono frasi d’affetto e inviti a non mollare. Tra questi anche la premier Giorgia Meloni, che parte da una frase di Murgia – «spero solo di morire quando Giorgia Meloni non sarà più presidente del Consiglio» perché «è un governo fascista» – per mandarle un pensiero: «Spero davvero che lei riesca a vedere il giorno in cui non sarò più presidente del Consiglio, come auspica, perché io punto a rimanere a fare il mio lavoro ancora per molto tempo. Forza Michela!». Un omaggio anche dal vicepremier Matteo Salvini: «Mi auguro davvero di ricevere le sue critiche ancora per moltissimo tempo».
Il professore Giampaolo Tortora, direttore del Comprehensive Cancer Center del Policlinico Gemelli, spiega a LaPresse che «per il tumore del rene fino a poco tempo fa non avevamo praticamente nulla. Negli ultimi vent’anni si sono sviluppati due grossi tipi di trattamenti di importante successo». Il primo trattamento «ha un meccanismo anti-angiogenetico, cioè con l’impiego di farmaci che contrastano la formazione di vasi sanguigni. I tumori del rene sono infatti caratterizzati da un esubero di angiogenesi, cioè la formazione di nuovi vasi, che portano ossigeno e nutrimento al tumore». L’altra «grande strategia terapeutica è quella dell’immunoterapia». I due trattamenti «non si escludono, nel senso che ci sono pazienti che fanno sia uno che l’altro in sequenza o in combinazione». Tutto «ora dipende dalla situazione», aggiunge Tortora. «Se la sua è la situazione di chi ha già fatto altri trattamenti e non ha trovato nessun beneficio e quindi è in una fase avanzata non solo di malattia, ma anche di terapia, questo è un problema importante per quanto riguarda la sopravvivenza, oltre che la qualità della vita. Diverso è se ha cominciato ora un trattamento». Si può guarire? «In una malattia multi-metastatica – sottolinea Tortora – si punta a una regressione e a un controllo a lungo termine della malattia. La guarigione è un evento piuttosto infrequente nei tumori metastatici, anche con l’immunoterapia. Tuttavia, oggi cominciamo ad avere evidenze di remissioni complete di lunga durata – ovviamente in una frazione non maggioritaria -, che non equivalgono a una guarigione, ma a prolungati periodi di scomparsa della malattia».