‘Stranizza d’amuri’, l’esordio alla regia di Beppe Fiorello: la storia del delitto dei fidanzati gay di Giarre

Arriva da lontano, l'esordio alla regia di Beppe Fiorello: da un articolo, letto per caso dodici anni fa, sul delitto di Giarre, in provincia di Catania, avvenuto nel 1980.

Arriva da lontano, l’esordio alla regia di Beppe Fiorello:

da un articolo, letto per caso dodici anni fa, sul delitto di Giarre, in provincia di Catania, avvenuto nel 1980.

Le vittime erano due ragazzi, Giorgio Agatino Giammona e Antonio detto Toni Galatola, trovati mano nella mano e con un colpo di pistola ciascuno alla testa. In un contesto ostile, i due si amavano e perciò l’omicidio si rivelò subito di matrice omofoba. Nonostante la confessione del nipote tredicenne di Toni, che in quanto minorenne non era impunibile, non si è mai arrivati all’individuazione di un colpevole. Ma il delitto segnò anche la storia del movimento omosessuale, perché provocò la nascita ufficiale dell’Arcigay con l’apertura del primo circolo a Palermo.

“Non ne sapevo niente – rivela Beppe Fiorello – e ho subito avvertito un senso di colpa. Da siciliano, mi sono sentito corresponsabile di una tragedia che è figlia della mentalità della mia terra”. Così nasce ‘Stranizza d’amuri’, che rielabora con alcune libertà la storia di Giorgio e Toni (il film è dedicato a loro), diventati Gianni e Nino. Prodotto da Eleonora Pratelli e Riccardo Di Pasquale per Iblafilm, Fenix Entertainment con Rai Cinema in associazione con Silvio Campara, Golden Goose e Generalife, scritto da Fiorello con Andrea Cedrola e Carlo Salsa in collaborazione con Josella Porto (che nel 2007, insieme a Francesco Costabile, scrisse la sceneggiatura Fuoco all’anima, finalista al Premio Solinas), arriva in sala da giovedì 23 marzo.
“Il mio desiderio principale – spiega il neo-regista – era raccontare questa storia, non semplicemente debuttare alla regia. È stato un percorso lungo, ci sono voluti molti anni per capire che tono assumere e quale genere seguire. C’erano tutte le caratteristiche per un film investigativo, ma fino a oggi non si è mai giunti a una verità ufficiale, avremmo proposto solo congetture. Allora mi sono affidato alla mia immaginazione: alla tematica ho preferito la poetica”.

La strada è anche civile: “Dentro di me, speravo di fare un film storico, un ‘come eravamo’. Conosco la mia terra mia. Nel film ci sono l’omertà, la paura, la discriminazione che inizia dentro le mura domestiche, l’incapacità di capire un amore”. L’azione si sposta sensibilmente, dall’originale 1980 a due anni dopo, nel mese in cui l’Italia vince i Mondiali di calcio: “Avevamo l’esigenza di inserire una vicenda intimista in un momento universale. L’ispirazione è arrivata da Roma di Alfonso Cuarón, un capolavoro che amo molto perché ambienta una storia molto personale in un contesto civile più ampio, includendo il massacro degli studenti di El Halconazo. La nostra piccola storia si svolge nel 1982, l’anno in cui si registrò un grande picco economico: la vittoria della nazionale è il simbolo del festeggiamento che ti distrae dal tragico epilogo dei protagonisti”.

Che sono Samuele Segreto (impegnato al momento nella fase finale del talent show Amici come ballerino) e il debuttante Gabriele Pizzurro: “In loro – spiega Beppe Fiorello – c’è il tratto divino dell’adolescenza, quel momento della vita in cui ci si ama in purezza tra amici senza essere omosessuali. Noi adulti, rispetto agli adolescenti, siamo arretratissimi. Quando parliamo di omosessualità e cambiamo tono di voce, loro si stupiscono dei nostri timori. Per loro è qualcosa che fa parte dell’umanità in modo naturale. D’altronde viviamo in un paese in cui la politica non applica le leggi per proteggere gli omosessuali, leggi che in un mondo normale non dovrebbero né esistere né essere materia di dibattito”. Film politico? “Non volevo dare messaggi, speravo solo di fare un inno alla vita e alla libertà. Mi hanno detto che è una storia di coraggio, ma è un peccato pensare che una storia d’amore abbia bisogno del coraggio: vuol dire che è un’arma contro l’odio. Ed è un controsenso che non capisco”.

Le riprese non si sono svolte a Giarre: “Una scelta precisa – chiarisce il regista – perché non volevo turbare la serenità di qualcuno. Lì ci sono ancora persone che, nonostante le scelte che hanno fatto in passato, stanno soffrendo per quei ragazzi. Però mi ha emozionato tantissimo sapere che il cinema del paese vuole proiettare il film”.

Nel cast di Stranizza d’amuri ci sono anche Antonio De Matteo, Enrico Roccaforte, Roberto Salmi, Giuseppe Spata, Anita Pomario, Giuseppe Lo Piccolo, Alessio Simonetti, Raffaele Cordiano, Giuditta Vasile e soprattutto Fabrizia Sacchi e Simona Malato, mamme rispettivamente di Gianni e Nino. “Dentro questa madre – riflette Sacchi – c’è la forza oscura di chi non parla, un po’ per ignoranza e un po’ per assorbimento di una certa cultura. Ma c’è anche il senso protettivo nei confronti di un cucciolo malandato”. “Nel film – afferma Malato – Fabrizia dice una battuta che mi commuove, quando scopre che il figlio si sta legando all’amico: ‘queste sono stranezze che non devono capitare’. Anche il mio personaggio vive dentro una stranezza: non esce mai di casa, non ha il coraggio di volare via con Gianni, resta imbrigliata nella sua incapacità di opporsi, spera che si salvi ma lo condanna. Quando telefona all’altra madre, è come se stipulasse un patto tra carnefici addolorate”.

´Stranizza d’amuri’ deve il suo titolo a un brano di Franco Battiato, pubblicato nel 1979 nell’album `L’era del cinghiale bianco´: “Quella canzone – spiega Beppe Fiorello – parla di due che si amano durante una guerra. Un po’ come Gianni e Nino. Amo Battiato, da ragazzo ho consumato La voce del padrone e ho tramandato l’amore ai miei figli. Ho voluto stratificare la sua presenza nel film e non ho avuto dubbi nel chiedere a Giovanni Caccamo di comporre la colonna sonora”. E a spiegare il perché è proprio Caccamo: “Battiato è il mio mentore, con Leonardo Milani ci siamo messi al servizio delle immagini facendo un lavoro di introspezione embrionale. Una volta Battiato mi disse che l’unico modo per restare liberi è scardinare l’arte da ogni fine. Penso che, con questo film, Beppe ci sia riuscito”.

E Giuseppe Fiorello, dopo tantissimi anni di televisione, è pronto a dedicarsi solo al cinema? “Ho sempre puntato sulle storie, le uniche differenze sono le esperienze emotive durante la visione. Penso che la frattura si sia troppo esasperata: non mi piace quando la visione diventa una dipendenza, mi preoccupa la sensazione di down dopo il binge watching, come se fosse un’assuefazione da stupefacenti. Sta diventando controproducente per la salute e si finisce per vedere le serie non per interesse ma solo perché puoi parlarne con gli altri. Ho fatto tanta televisione ma ora stiamo vivendo un cambio repentino: i ritmi devastanti della serialità non stanno generando quella qualità essenziale per il nostro mestiere. Non c’è tempo per concentrarsi”.

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