Pagare gli addetti alla sicurezza 5 euro lordi l’ora è contrario alla Costituzione, anche se fatto in base a un contratto nazionale firmato dai sindacati.
Lo ha stabilito la Corte di Appello di Milano, per la seconda volta in un anno, condannando l’azienda del trasporto pubblico milanese Atm e un suo subappaltatore nel campo della vigilanza a risarcire per migliaia di euro 4 addetti alla vigilanza della società Ivri Servizi Fiduciari, i quali contestavano buste paga di anni passati. Guadagnavano 950 euro lordi al mese lavorando 173 ore su turni notturni da oltre 11 ore ciascuno (dalle 19.40 della sera alle 6.50 del mattino senza pausa) per sei giorni lavorativi consecutivi seguiti da due giorni riposo. Il tutto in base all’inquadramento nel livello D del contratto collettivo nazionale «per i dipendenti da Istituti ed Imprese di vigilanza privata e servizi fiduciari» che li autorizzava a svolgere «operazioni di media complessità, anche con l’utilizzo di mezzi informatici».
Secondo la sezione lavoro della Corte di Appello milanese si tratta di paghe contrarie all’articolo 36 della Costituzione che garantisce «un’esistenza libera e dignitosa» e stipendi inferiori alla «soglia di povertà». A deciderlo il collegio composto dai magistrati Monica Vitali (presidente), Roberto Vignati (consigliere relatore) e Andrea Trentin (giudice ausiliario) con sentenza depositata il 24 gennaio 2023 nella quale i giudici hanno respinto il ricorso di Atm e Ivri e confermato per intero la sentenza di primo grado emessa ad aprile 2021 dalla giudice del lavoro Maria Grazia Florio, che ha dato ragione ai lavoratori di custodia e sorveglianza presso diverse sedi Atm disponendo di aumentare lo stipendio mensile lordo a 1.218 euro con responsabilità in solido fra appaltatore (Ivri) e committente (Atm).Per i giudici meneghini, infatti, «il limite della povertà assoluta per una persona fra i 18 e i 59 anni residente in un’area metropolitana del nord Italia» nel 2018 (anno su cui si sono concentrate alcune delle contestazioni, NdR) è «quello corrispondente a una capacità di spesa (e quindi a una retribuzione netta) di 834,66 euro elevata a 1.600 euro mensili nel caso di moglie e due figli a carico in età compresa fra 4 e 10 anni».
«È quindi agevole osservare – proseguono i giudici nella sentenza confermata anche in secondo grado – che la retribuzione corrisposta ai ricorrenti, al netto degli oneri fiscali, si colloca all’evidenza al di sotto della soglia di povertà». Secondo il tribunale di Milano, che aveva già dato torto nel 2022 ad Atm e un’altra società subfornitrice, la GSA, in quel caso per una paga oraria da 4,4 euro lordi/ora, «è intuitivo» che certe retribuzioni non rispettino «il principio di proporzionalità e, ancor di più, quello di sufficienza a condurre un’esistenza libera e dignitosa e a far fronte alle esigenze di vita proprie e della famiglia» come stabilito «inderogabilmente dall’articolo 36 della Costituzione applicabile a tutti i rapporti di lavoro subordinato». Atm è chiamata in causa «in qualità di committente e in tale veste è responsabile in solido con l’appaltatore per i pagamenti da effettuare ai lavoratori» fa sapere la società del trasporto pubblico milanese in una nota parlando di nessuna «responsabilità diretta nel rapporto contrattuale che intercorre tra il datore di lavoro (IVRI) e i lavoratori, rapporto che risulta peraltro regolato da un ccnl (quello per i dipendenti di istituti e imprese di vigilanza privata e servizi fiduciari)».
«La gara per il nuovo contratto di servizio di portierato/vigilanza – conclude Atm – prevede che i partecipanti alla gara stessa `accettino´ di adeguare l’importo orario riconosciuto dalla sentenza in oggetto».