Il ritorno di Articolo 1 nel Partito Democratico è ormai cosa fatta.
La Direzione nazionale della forza politica guidata da Roberto Speranza approva la relazione in cui si guarda con favore alla fase 2 del Nazareno esprimendo «una valutazione positiva sui contenuti del Manifesto per il Nuovo Pd» presentato all’Assemblea di sabato. E si sottolinea come in questo modo si pongano «le basi per la costruzione di una seria alternativa alla destra» in Italia. Gli «iscritti e le iscritte di Art.1» sono pertanto invitati «a partecipare attivamente alla fase congressuale, già dal voto nei circoli, sottoscrivendo entro il 31 gennaio l’impegno ad aderire al Nuovo Pd nel 2023, come previsto dal Regolamento congressuale approvato».
Ma, nonostante le relazioni e le note ufficiali, la ricomposizione tra il Partito Democratico e i `cugini´ di Art.1 non si presenta come un passaggio facile. Almeno a giudicare dai commenti di esponenti Dem, come Enrico Borghi, che non vuol sentir parlare di cambio di nome per «giustificare» il ritorno degli scissionisti. «La tesi secondo la quale il Pd dovrebbe sciogliersi o cambiare nome per consentire ad Art.1 di rientrare nel Pd è come se il Portorico ponesse come condizione per entrare negli Usa che questi cambiassero nome», ironizza il parlamentare che rievoca precedenti storici come quello del Pdup «che rientrò nel Pci senza però pretendere abiure».
Ma, a parte il cambio o meno del nome, sul quale continuano a infuriare polemiche e lazzi sui social anche per l’acronimo che ne deriverebbe (Pdl come l’ex partito di centrodestra o Padel come il gioco che impazza tra giovani e meno giovani) sono i veti posti su alcuni personaggi di primo piano come Massimo D’Alema che avvelenano ancora di più il clima. Come dimostra la precisazione che i due partiti sono costretti a fare: «Nella costruzione del percorso costituente che ha portato all’ approvazione del Manifesto del Nuovo Pd mai tra Enrico Letta e Roberto Speranza si è fatto riferimento a singole personalità e tanto meno a Massimo D’Alema». Il diretto interessato sorride e non cede alle provocazioni: «Sono in pensione da 7 anni, non partecipo al dibattito», risponde a chi gli chiede di replicare. Ma è difficile tentare di cancellare la storia senza che si lascino strascichi a complicare una riappacificazione amara, ma «politicamente necessaria».
Tanto «necessaria» che il candidato Stefano Bonaccini si è trovato obbligato a rimarcare: «Mi interessa poco che rientrino dirigenti ed ex dirigenti, a me interessa recuperare quei 7 milioni di elettori che abbiamo perso per strada». Mentre l’altra candidata, Elly Schlein, non esista a parlare di «ricongiungimento familiare». Guarda invece con favore al cambio del nome Andrea Orlando che, oltre a confermare «consonanza» con la Schlein, dice che «ricostruire il partito con nome, programma e simboli, è una scommessa che vale la pena fare». Intanto, prosegue la corsa dei 4 per la segreteria. Bonaccini, Schlein, Gianni Cuperlo e Paola De Micheli, dopo il confronto in tv da Lucia Annunziata, saranno in giro per l’Italia e si vedranno con le donne del partito al Nazareno per raccontarsi e fare il punto sui programmi.
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