Prima o poi i nodi sarebbero venuti al pettine.
L’inizio dell’anno deve essere l’occasione per rilanciare alcuni temi strategici, utili per ridisegnare il territorio a sud-ovest dell’Etna. In questi anni, molte questioni sono state anestetizzate, sottovalutate e fuorviate. L’isolamento infrastrutturale, produttivo e culturale ha desertificato alcune aree più di altre. Bronte, Troina, Centuripe, Adrano e Biancavilla sono le città (di questo distretto) che hanno saputo sfruttare al meglio le opportunità offerte dalle risorse messe a disposizione dalle istituzioni pubbliche. Pianificazione, lungimiranza, innovazione e valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale esistente. I sindaci: Fabio Mancuso (Adrano), Salvo La Spina (Centuripe) e Antonio Bonanno (Biancavilla), lavorano insieme in questa direzione.
Un processo che oggi viene ulteriormente implementato dai fondi disponibili per le “aree interne” che hanno lo scopo di coltivare “La restanza” di cui parla Vito Teti. Una necessità che la pandemia e la crisi geo politica internazionale ha evidenziato, proponendo un (nuovo) modello di sviluppo e di cooperazione sociale che rivaluta le marginalità di questo territorio. Ma non possiamo non elencare alcune delle cause di questo “isolamento” per poi individuare una possibile strategia rigenerativa
Il sistema della mobilità territoriale, che fino agli anni ’70 funzionava da connettore tra Catania e le aree interne, mediate da Paternò, permetteva uno scambio empatico tra le comunità, attraversate dalla dorsale verso Palermo e verso Messina, aderente alla costa e all’entroterra siciliano (Enna). La realizzazione del sistema autostradale ha spostato gli assi e creato vuoti mai colmati. La modernizzazione dei processi produttivi, l’accentramento verso le città metropolitane, la delocalizzazione delle filiere industriali ha impoverito il territorio. L’emigrazione demografica verso i poli urbani più significativi, lo smantellamento dei servizi essenziali, l’abbandono del tessuto agricolo e artigianale hanno – insieme alla perdita della dialettica culturale e politica dagli anni ’80 in poi – ha reso sterile un vasto territorio che vive in uno stato di “coma farmacologico”.
Abbiamo capito, nel frattempo, che è necessario riattivare le connessioni, definire le strategie di sviluppo seguendo anche nuovi modelli, sempre attenti alle permanenze storiche, alle invarianti culturali e allo studio dei “paesaggi” che si sono stratificati nei secoli. Alcuni settori produttivi come quelli dell’agricoltura, dell’artigianato e della filiera turistico-culturale devono innovarsi, modernizzarsi. Che non significa che devono perdere la “territorialità” ma che anzi, devono canalizzarla sul solco della modernità alle diverse scale: locale, globale. Un principio ormai consolidato dall’ampia letteratura scientifica e da innumerevoli casi studio presenti anche in Sicilia.
Ma per fare tutto ciò è necessario modificare la prospettiva: uscire una volta per tutte dalla visione areale (recinto, perimetro, cluster, ecc.) e ri-velare la logica della costellazione a tutte le scale (rete, network, arcipelago, permeabilità, ecc.). Se la metropolitana FCE sarà capace di rivoluzionare il modello abitativo delle città intorno all’Etna, attuando pienamente l’idea di città metropolitana e permettendo il decentramento dei servizi che attualmente opprimono Catania (formazione, sanità, cultura, mobilità, ecc.); la rigenerazione della “ferrovia delle arance”, potrà compiere quel ricongiungimento tra le aree interne (Assoro, Nicosia, Troina, Centuripe, Regalbuto,) e la Città di Levante (da Malta a Reggio Calabria, passando per Siracusa, Augusta, Catania e Messina). Un programma politico intuito già negli anni ’50 ma abbandonato per miopia e superficialità, sull’altare di un modello di sviluppo che oggi appare superato e anacronistico. Oggi abbiamo capito che isolare le aree interne è stato un errore, sul piano dei servizi e delle infrastrutture. Lo abbiamo scoperto dopo la pandemia in maniera evidente.
Per questo dobbiamo usare bene le risorse specifiche per le “aree interne” e quelle del PNRR.
La regione Sicilia a dicembre a mostrato il cartellino rosso a tutte le aree interne siciliane e siamo in attesa di possibili evoluzioni.
Il quadrilatero Centuripe, Adrano, Biancavilla e Santa Maria di Licodia, deve cogliere l’occasione (usare i fondi rapidamente) e stimolare il coordinamento con gli altri due ambiti: quello che ha come polo Bronte e quello che afferisce alla città di Troina, ad ovest della città metropolitana di Catania. Uno sforzo da compiere, anche tornando indietro rispetto ai passi già percorsi negli ultimi decenni; figli di una cultura del “cluster culturale” che ha isolato, quella valle del Simeto, dentro un recinto ideologizzato da ambientalismi sterili che oggi emergono, evidenti come relitti del fiume.
La città di Paternò – se vuole – può assumere il compito naturale, che gli appartiene storicamente, di cerniera territoriale, di snodo principale tra la costellazione dell’Etna (con Catania polo) e l’arcipelago dei piccoli centri interni. Facendo riemergere la sua antica funzione di connettore tra l’Etna e il fiume Simeto (asse nord-sud) e tra il mare Jonio e l’Omphalos della Sicilia (asse ovest-est). Si tratta di ridisegnare il “paesaggio” di limite, ancorandolo alle invarianti culturali (aree archeologiche, monumenti, centri storici, casali e insediamenti rurali), a quelle produttive (campi, giacimenti, insediamenti) e a quelle strutturali (ospedali, musei, chiese, attrezzature sportive, ecc.) e a quelle infrastrutturali (aeroporto, porto, ferrovie, autostrade, metropolitana, ecc.). Forse un’interlocuzione diretta sul piano della pianificazione con Catania sarebbe utilissima. In caso contrario sarà “scavalcata” da tutti.
Quindi serve una visione di sistema, ampia, integrata, interconnessa, evitando la cultura degli “orticelli”, quelli che hanno lo scopo di difendere solo le rendite di posizione, quelle che producono solo mediaticità senza concretezza. La politica deve riconquistare il territorio della pianificazione, ascoltando, senza sottomissioni acritiche verso tensioni culturali “vintage” (che spesso si oppongono con “resistenze” partigiane). La rete infrastrutturale delle aree sviluppate in Europa e in Italia, sono la fotografia plastica di questo paradigma, di questo gap che deve, a partire dalla tutela dei paesaggi, non rinunciare allo sviluppo, per tornare ad essere competitivi. Ma senza una “visione” si rischia solo di trasformare questo processo in una sfida tra nostalgici dei tempi andati.
Alla luce di quanto detto, forse è necessaria una revisione dei programmi di strategie d’area “Val Simeto”, afferente alla “Strategia Nazionale Aree Interne” (SNAI) magari più inclusivi e rappresentativi di tutte le componenti del territorio, aggiornato tra l’altro alle mutate condizioni (dal 2010 ad oggi) e alla nascita di quello di Troina e Bronte. Tale da permettere nuove visioni, nuovi scenari e un quadro delle conoscenze piò coerente con la realtà. Il Programma SNAI 2021-2027 sta partendo e il precedente aspetta ancora di capire se è nato davvero.
Per approfondire:
https://www.corrieretneo. it/2022/12/22/la-regione-siciliana-annulla-i-finanziamenti-delle-5-aree-interne-il-disagio-dei-73-sindaci-dei-comuni/
https://politichecoesione.governo.it/it/strategie-tematiche-e-territoriali/strategie-territoriali/strategia-nazionale-aree-interne-snai/strategie-darea/regioni-del-sud/regione-sicilia/val-simeto/
https://politichecoesione.governo.it/media/2772/strategia_valsimeto_febbraio_2018.pdf