Adesso è Natale: ripensare alla Notte Santa per ricucire rapporti e alleanze

Adesso è Natale: ripensare alla Notte Santa per ricucire rapporti e alleanze

Di solito a Natale siamo tutti più buoni. Di solito, non sempre.

Le ultime ore, prima della notte Santa, le passiamo a cercare regali, a mandare auguri, a prendere le ultime cose per la cena di famiglia.

Una corsa frenetica, lungo le strade della città e dei centri commerciali sparsi ovunque. Un fiume in piena, luci scintillanti, musiche natalizie e tutte le vetrine in festa. La crisi economica sembra spenta, le guerre dimenticate, i dissidi messi sotto il tappeto e tutti a sorridere felici. Una sospensione surreale, una realtà finta. Auguri, auguri, auguri. Per tutti, anche per quelle persone che non sentiamo da tempo. Desideriamo sentirci felici e spensierati. Alle spalle i tempi bui, il covid è già un ricordo, le guerre (tutte) messe in pausa. Non ci rimane che aspettare Babbo Natale, le zie con i regali e la messa di mezzanotte.

Ma non funziona così.

Adesso è Natale: ripensare alla Notte Santa per ricucire rapporti e alleanzeAlmeno non nella vita reale. Babbo Natale non porta i regali a tutti, le guerre continuano e i soprusi anche. Ci sono troppe criticità irrisolte. Sotto casa, dietro l’angolo e altrove. Nelle nostre famiglie, con gli amici, nelle comunità: dissidi, incomprensioni, spesso strumentali. Faide, agguati, tragedie e inganni. Anche se adesso è Natale. C’è gente che non lavora, che non potrà regalare nulla. In tanti vivono in case di fortuna, senza porte e al freddo, nelle tende in mezzo alla campagna, lontani dalla città e dalle feste. E meno male che c’è la Caritas e Sant’Egidio che ci mettono una pezza, sempre troppo piccola ma pur sempre una pezza. E meno male che alcune associazioni dedicano una parte del loro tempo agli ultimi, alla gente in difficoltà. Nelle parrocchie, nei centri di accoglienza, anche sotto i portici. C’è gente che lavora per strappare almeno un sorriso, almeno questo giorno, che invece sembra la celebrazione di una festa orgiastica.

Ora non entriamo nelle questioni teologiche, non ci arrampichiamo nei moralismi, ma certamente, la nascita di questo piccolo uomo che festeggiamo ormai da molti secoli, nel periodo dell’anno in cui la luce ricresce, un significato lo avrà. Il celebrare, la centralità della dimensione umana del divino, dentro un contesto di povertà, all’interno di una famiglia, con pastori, pecore, magi e altri personaggi fantastici è l’idea più rivoluzionaria che condividiamo sul pianeta. Il presepe di San Francesco compie ottocento anni, non era proprio come lo componiamo adesso, si è evoluto, ma contiene le basi per fondare un principio nuovo di cristianità. C’è un bel pezzo di Annachiara Sacchi, sulle pagine della La Lettura (inserto del Corriere della Sera) del 18 dicembre scorso che ci svela l’importanza di questa “invenzione” – che poi ha radici più antiche – le sue declinazioni nel tempo, il significato dei suoi personaggi a partire dalla prima rappresentazione di Greccio nel 1223.

Grazie a Luca e Matteo (gli Evangelisti) oggi sappiamo dei pastori e dei Magi.

Adesso è Natale: ripensare alla Notte Santa per ricucire rapporti e alleanzeSacchi si chiede chi sono oggi i pastori, chi sono i Magi? Lo chiede ai teologi, i filosofi, agli antropologi. Forse i rifugiati, i disoccupati comunque quella gente che ancora crede e sa stupirsi. Il senso di questa storia è lo “stupimento”. Oggi siamo disposti a credere e a stupirci ancora? Per seguire un’idea – anche tra mille difficoltà – oppure pensiamo di vivere immersi in una verità immutabile? Siamo capaci di spogliarci dei nostri pregiudizi? Delle nostre convinzioni. Siamo capaci di chiedere, di domandare, di ascoltare? Siamo capaci di donare qualcosa di noi, senza nessuna ricompensa? I pastori e i Magi sono quindi figure emblematiche di questa rappresentazione allegorica, dove un uomo e una donna, insieme al loro figlio santo, costituiscono il nucleo fondante della società ed è forse questo uno dei punti chiave che dobbiamo indagare ancora, per capire cosa è oggi “la famiglia” per declinarla nuovamente, oggi è necessario guardare oltre, verso nuovi paradigmi.

Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di cogliere il senso del “presepe”, della festa della natività – anche in chiave laica – di trovare nuovi sentieri, coerenti a quella straordinaria visione che ci restituisce l’umanità del divino. Quella dimensione trascendente che ci accompagna si dall’inizio della nostra esistenza consapevole. Forse invece di inveire, di uccidere, di sbranare, dovremmo ripensare a quella notte santa; santa anche peri magi, per i pastori, per quella gente semplice che ha creduto e ricucire i rapporti, le alleanze.

San Francesco ci ha regalato un messaggio rivoluzionario, la natura portatrice di divinità (come è sempre stato) e la divinità che entra nelle nostre case con una teatralità che emana spiritualità. Con l’albero di Natale, fatto di luci e natura ancestrale si completa l’atlante dei riti che ci riconnettono con l’universo. Ma bisogna allontanare dalle nostre tavole i ritualismi, i formalismi, gli spettacolarismi per dare spazio alla sincerità, alla sobrietà, alla naturalezza dei gesti, privati delle sovrastrutture che certi “farisei” costruiscono, solo per contare qualcosa nel piccolo orto dove è piantato l’albero di Giuda.
Serve essere portatori di inclusione, di pace, di felicità, di speranza. Serve ritrovare il senso e la speranza di quei pastori che andarono a trovare quella “grotta” con sopra una stella lontani dagli intrighi di Erode.

Adesso è Natale: ripensare alla Notte Santa per ricucire rapporti e alleanze

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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