Il sensazionalismo, l’estremizzazione e il radicalismo, sembrano i nuovi territori dentro il qualche si muove, parte della nostra comunità locale.
In verità il fenomeno è più ampio e diffuso di quanto si possa immaginare e riguarda prevalentemente quelle aree culturali, più provinciali, della nostra società.
Le azioni – politiche, economiche, sociali e culturali – dovrebbero essere sempre il risultato di un processo, che a partire dall’osservazione, dall’analisi e dalla sintesi dei fenomeni, determina le possibili decisioni che se non condivise – nel merito e nella forma – rischiano di essere inutili. Spesso, alcune aree politiche (destre, sinistre ecc.) stagnano in alcune fasi del processo: si rimane incagliati nell’osservazione e nell’analisi senza produrre una decisione, oppure si saltano proprio queste fasi – indispensabili – determinando scelte poco ragionevoli e non partecipate. In entrambi i casi il risultato non è positivo e solo grazie a condizioni esogene, improvvisate e casuali si ottiene il danno minore.
Per queste ragioni, per sostenere queste anomalie, si fa ricorso al sensazionalismo, a quella pratica di enfatizzare ogni cosa come se fosse la più importante del mondo e quindi inappellabile. Come dire che “Dio lo vuole” privando tutti della “discussione” del confronto e della possibile dissonanza.
Ma non basta, è necessario anche estremizzare, riducendo tutto alla logica delle tifoserie. Le idee non sono quindi aperte e mutevoli, disponibili alla metamorfosi della mediazione, aggiustabili, al contrario sono radicali, assolute, immutabili. Un atlante di dogmi rigidissimi che determinano l’appartenenza a quello o a quell’altro gruppo di sostenitori (tifosi).
Per certi versi si confrontano due modi di essere, i dogmatici e i policentrici. Ritorna in campo quella differenza che ormai raccontiamo da molto tempo, i cultori del recinto e quelli della costellazione (delle idee).
Senza il recupero della teologia della divergenza, si rischia solo di radicalizzare e l’effetto più evidente è l’impoverimento del dibattito – che significa impoverimento delle idee e quindi dell’innovazione e della competitività – la scomparsa della democrazia a tutto vantaggio dei regimi teocratici. Anche le maggioranze hanno bisogno delle opposizioni, anche dentro le maggioranze dovrebbero vivere l’opposizioni. Senza questa dicotomia non esiste dibattito e confronto. Se tutti sono maggioranza, quella comunità non può evolversi e diventa per questo autoreferenziale e radicale. Se non sei nel coro sei fuori e quindi ai margini della società.
Chi ha la responsabilità delle decisioni (organi eletti e rappresentativi) ha il dovere e la necessità di osservare, analizzare, sintetizzare (sentendo le parti) e poi decidere. Non come contrapposizione acritica dei radicalismi ma come capacità di sintesi delle diverse ipotesi messe in campo.
Appare più semplice – per molti – ridurre tutto a buoni e attivi, alti e bassi, giusto e sbagliato. Appare più semplice perché ci esenta dalla riflessione approfondita, ci risparmia la fatica dell’ argomentazione, ci semplifica tutto nella banale scelta di un colore, di una forma, di un personaggio per cui tifare.
Alcune sinistre si sono perse nell’osservazione perpetua e alcune destre nel decisionismo convulsivo, forse oggi serve una mediazione ponderata tra questi due modelli improduttivi. Ma serve ripartire dall’ argomentazione, dalla necessità di ascoltare, di verificare, di aggiustare le innumerevoli verità provvisorie che l’uomo elabora.
Quando un’idea è sensazionale, radicale ed estremizzata – fino a determinare la nascita della tifoseria, l’idea perde di valore, tutto si riduce nel personalismo (il dito e la luna) e si assiste alle faide che hanno bisogno di mostri, di colpevoli e di bersagli. Ma questo genera anche adesioni, con il risultato che si ricompattano quei tifosi che si sarebbero sbranati senza che ci fosse quel Minotauro da combattere tutti insieme. Cosa succederebbe se Teseo, uccidesse il mostro? Come ci si aggrega? Il mostro serve vivo affinché qualcuno possa sopravvivere.
Ecco, penso che proprio Teseo sia il personaggio che andrebbe rivalutato. L’eroe che affronta il Minotauro senza paura, che osserva, analizza e definisce una strategie possibile per risolvere il problema, uscendo indenne dal labirinto delle maldicenze, delle diffamazioni e degli agguati.
Quindi serve difendere ancora un volta la diversità di pensiero, non come adesione partigiana ma come strumento per verificare le nostre azioni. Divergenze, difformità, come strumenti di verifica per chi deve decidere. Ma serve uscire dall’ equivoco dell’appartenenza, della logica paraboliana, della visione stereotipata. Fin quando, chi la pensa diversamente da noi, è considerato un mostro perché mette in discussione l’idea dominante non può realizzarsi progresso e innovazione ma solo mantenimento dello status. Se non avessimo messo in discussione i dogmi ereditati dalla storia ancora saremmo a giocare con le clave.
Ma questa finta accessibilità a ogni sapere che internet ha generato (U.Eco) mette tutti sullo stesso piano e per questo è più comodo aderire a un colore più che a un’idea, per questa serve più fatica.
Allora sosteniamo le differenze, le diversità, le dissonanze perché funzionali alla nostra evoluzione.