La città è in festa, ritrova le sue liturgie, aspetta l’evento. Santa Barbara è tornata, anche Lei come noi, dopo gli anni della sofferenza, della malattia, della privazione delle celebrazioni pubbliche.
Tutto torna al suo posto: il vestito della festa, le campane al mattino, il via via di gente nel tempio, sorrisi e profumi, le bancarelle lungo la strada, la banda che suona e le luminarie. Tutto sembra tornato come prima ma così non è, mancano all’appello tanti di noi che non ci sono più. Ma andiamo avanti, ripartiamo con forza, così vuole la santa.
C’è voglia di spiritualità, di semplicità, di profumi di un tempo, del canonico con l’abito antico e il copricapo buffo, le castagne, il torrone, il pranzo in famiglia e le bombe in piazza.
La città ritrova se stessa, si stringe forte a quelle reliquie che benedicono la gente per strada. Una ritrovata festa barocca, che racconta la devozione fuori dal “Martyrion”, nelle piazze, tra le case, nel dedalo dei labirinti urbani. Una storia che bagna ogni pietra e diventa cammino, percorso, sentiero tra i suoi monumenti. Forse un racconto mitologico, una poesia, una fiaba segreta, raccontata lungo un viaggio nel tempo ancora oggi.
Le pietre di questa città raccontano una storia, disegnano un tracciato, dentro un labirinto ormai sepolto.
I segni nascosti degli antichi culti, sono affioranti dalla terra, riluttanti a mostrarsi, dopo gli antichi esorcismi della croce. Gli uomini e le donne scavano un solco per piantare un seme, a mani nude: sporche, sanguinanti e rugose, come la sciara. Le dita, invadono la carne, cercano un soffio d’aria, una grotta, una sorgente d’acqua, una vecchia storia.
La Parthenos riemerge da Hybla, diventa madre, ammantata di stoffe nere, per cercare la figlianza, la discendenza, come altre donne prima di lei. Vergine, azzurra, come l’acqua, come il cielo, come il suo mantello, di stoffe di lino con fili d’oro e d’argento, e la corona di luce. Ma viene sepolta, anche lei, rinchiusa in una piccola chiesa di pietra bianca, dimenticata dalle famiglie di Spagna, sostituita da un santo severo. Un turbinio di santità, di potenza divina, di intrighi misteriosi che lottano come titani tra l’acropoli e la valle, tra pochi e tanti.
Ma quella donna, straniera, venuta dall’oriente, irrompe come un fulmine, diventa acqua che scorre tra la gente, sorella di fede, madre accogliente. Una giovane santa, scavata dalla lama di una spada, storpiata dall’odio, diventa un seme nuovo, una fioritura di primavera, una sorgente.
Ritorna quella donna di un tempo, ritorna il femminino ancestrale, sul vecchio vulcano, come una grotta che straripa frutti, come un fiume che non ha fine. Una Barbara d’oriente, portata dai monaci con la croce nel petto, trionfale sulla peste e sull’invidia. Architettura di carne e miele.
Una nuova storia, un nuovo orizzonte, una speranza di riconciliazione con la terra.
Ma Barbara è anche protezione, riparo, accoglienza.
Da secoli queste terre sono come avvolte da un mantello, come quella madonna del Conforto di Sofonisba Anguissola (probabile attribuzione) posta dentro la Chiesa di Santa Maria dell’Alto, che ci accoglie sotto una cupola fatta di stoffa. Questo luogo vive una sacralità antichissima e protegge i suoi figli dalla notte dei tempi, con nomi diversi, icone cangianti, ha sempre nutrito il suo popolo.
E non possiamo non segnalare la preghiera semplice che un architetto le dedica dal profondo del cuore come testimonianza di devozione: “Ordinò che fosse costruita la terza finestra”; un’apertura affinché potesse entrare una luce migliore, la luce della Trinità che mette in evidenza anche i difetti della costruzione ma garantisce che la laboriosità degli uomini possa adoperarsi al miglioramento dei luoghi che si vivono. Mettere in luce, chiarire, delineare paesaggi, prefigurare il futuro, quello che ancora non c’è; ricomporre e dare dignità e verità a quello che è andato rovinato; dal singolo ambiente alla strategia urbana, con le matite, le penne, i programmi più sofisticati, martelli, cazzuole, mattoni, calce e tecnologie innovative, insomma con tutto quello che l’intelligenza umana è capace di governare, e il cuore di amare, per il bene comune, affinché possiamo essere strumento di collaborazione all’opera creatrice di Dio.
Che S. Barbara patrona dei costruttori protegga tutti noi, Architetti, Ingegneri, Geometri, Mastri, Manovali, Carpentieri e Operai specializzati. Che la SS. Trinita’ ci guidi sempre nell’apertura della terza finestra. Buona festa di S. Barbara”. Giuseppe Mirenda (2022)
Ricomincia un nuovo tempo e alcuni pensieri tornano alla mente.
Forse è necessario immaginare una fondazione che promuova l’evento uscendo dai confini comunali? Forse c’è la necessità di programmare e progettare in anticipo molte attività collaterali come mostre, incontri e laboratori anche con le scuole? Magari pensando a fuochi di artificio e luminarie più coerenti alla sacralità del momento, pensando anche alla sostenibilità? La festa è religiosa e laica, antica e moderna e racconta sempre questa città che cambia. O che deve cambiare. Il suo viaggio, quello del fercolo, tra le sue vie è un documento vivente della sua presenza operosa tra la gente, che l’ha voluta a metà del ‘500 fortemente. Questa è la natura vigorosa e potente della Barbara venuta dall’Oriente portata dai quei monaci con la croce nel petto.