Il quartiere di San Biagio a Paternò ha intrapreso un percorso di autodeterminazione, per verificare la possibilità di rigenerare – attraverso modalità partecipative – il suo spazio urbano e sociale.
Un processo guidato dalla prof.ssa Laura Saja dell’Università degli Studi di Catania e da un gruppo di assegnisti della stessa università, impegnati appunto in questa ricerca. L’associazione San Biagio e il Presidio Partecipativo sono il tessuto connettivo e nello stesso modo i promotori di questa esperienza che ruota intorno alla parrocchia di San Biagio. Ovviamente tra gli attori di questo processo ci sono anche diverse associazioni laiche e confessionali del territorio.
Dopo più di un anno, è venuto il momento di tirare le somme e capire come passare dalla fase dell’emersione dei bisogni e quindi del riconoscimento dei temi che caratterizzano le criticità urbane a quella delle progettualità generali e attuative. In questo senso è necessario avviare una riflessione critica sui risultati ottenuti e soprattutto sulle prospettive. Ma questo non sarebbe possibile se non definiamo preliminarmente alcuni ambiti della questione.
La prima e la più condizionante è la mancanza di un Piano Urbano Generale (PUG), quello che ancora in tanti chiamano PRG.
L’assenza di un piano complessivo che indirizzi e determini le linee guida dentro cui operare – in particolar modo nell’area oggetto di studio (zona San Biagio-Scala Vecchia, quindi la città di levante) – mette a dura prova gli sforzi della collettività che trovano nell’indeterminatezza della pianificazione, un “pantano” difficilmente superabile. Tra l’altro c’è da considerare che l’area, dal 1974, era stata dimensionata per accogliere una popolazione che non corrisponde alla domanda attuale e futura, con la conseguenza che molte aree erano vincolate per realizzare urbanizzazioni e, scaduti i vincoli di esproprio, non si sa più cosa farne. Le implicazioni sul piano economico, amministrativo e dei contenziosi derivanti è pachidermica. Ma proprio la gestione di un nuovo PUG potrebbe essere la soluzione.
Interessante è invece la tensione verso un approccio per parti di città (quartieri), che potrebbe essere una buona tattica urbana per fare riemergere il senso dell’identità e dell’appartenenza e nello stesso tempo determinare un perimetro più gestibile nelle scelte attuative alla scala partecipativa. Ma è necessario cogliere le dinamiche urbane che necessitano di nuove soluzioni e queste non possono essere determinate se non a valle di un processo conoscitivo approfondito. Per esempio, la consapevolezza che questa parte di città è nata e poi cresciuta sconnessa dal resto della città e quindi il limite tra le due parti è un tema progettuale da affrontare. Crescita senza un disegno urbano e pertanto le sgrammaticature nel tessuto sono uno dei punti deboli più delicati da risolvere. In questo senso l’interesse per recuperare l’area ESA è strategico per proporre un progetto di ricucitura tra le parti.
Ma intervenire solo dal basso o esclusivamente dall’alto non sembra la soluzione giusta e per questo andrebbero sostenute le attività integrate, dove la collettività, le associazioni, le agenzie formative del territorio (religiose, sportive, culturali e scolastiche) l’ente pubblico e le professioni trovino un punto d’incontro per determinare soluzioni possibili. Ma sostituirsi all’ente pubblico non è utile e nemmeno auspicabile. Ma se tra le parti c’è una certa incomunicabilità, serve una tattica diversa e se volete progressiva ed educativa nel tempo.
Quindi partire dalla micro scala e dalle pratiche dell’autocostruzione per rigenerare gli spazi della socialità. Come tante esperienze che oggi si vivono anche in Sicilia. Il dilemma è se è meglio operare in regime fortemente regolamentativo oppure costruire un manifesto di intenti flessibili per trasformare lo spazio urbano; proprio per questo serve un accordo di programma tra le parti e il PUG è lo strumento che governa questi accordi, in caso contrario possiamo solo dipingere le facciate cieche dei palazzetti residenziali incompleti e poco oltre.
Alcune evidenze sono utili per indirizzare il dibattito:
la presenza a levante di un’area a parco agricolo, di pregio, che confina con l’ex convento di Santa Maria la Scala, definendo un unicum dal carattere vulcanico-eruttivo; la necessità di realizzare sistemi di mobilità pubblica per connettere il sud e il nord della città; la consapevolezza che solo attraverso la permeabilità dei suoli, diffusamente, intesa come azione di rinaturalizzazione dell’esistente e di programmazione per gli interventi futuri, può dare risposte efficaci(serve piantare albero ovunque); la revisione totale dei sistemi di rete idrica, di raccolta e riserva oltre allo sfruttamento intensivo del fotovoltaico con progetti di agro-fotovoltaico può dare risposte al bisogni di qualità diffusa e diventare la risposta alla depressione fondiaria. Ma bisogna finirla di nascondere gli interessi arcaici di una vecchia classe di tecnici-proprietari che non prendono atto delle mutate condizioni d mercato.
Per fare tutto questo serve un disegno complessivo, una strategia ecologica e sostenibile, una connessione urbana e digitale che possa offrire a tutta la città e oltre le polarità insediabili: biblioteca, campi per lo sport, parco e orti, spazi per la ricettività e il tempo libero, distretti medici. Ci sono le condizioni per sperimentare e sollecitare e Sante Chinnici (farmacista) e Totuccio Oliveri (docente) – solo per citare due – possono accompagnare con successo questa incubazione, ma hanno bisogno di consolidare la base operativa e uscire dalla fase dialettica per entrare in quella progettuale. Senza la quale tutto resta solo una bella riflessione.
Quindi ora spazio ai progetti, ai piani, al PUG, ai piccoli interventi per avviare i processi. Ecco servono le scintille per accendere il fuoco e quindi gli interessi. Speriamo che i tempi siano maturi e si passi da una gestione perimetrata e retorica a una più aperta e pratica. Interessante è constatare che altre parti di città – Santo Spirito, Gangia, Salinelle, ecc. – si stanno muovendo in questo senso e fa riflettere che gli embrioni di tale processo sono spesso parrocchie o centri sportivi.