In questi giorni si definiscono – in diversi tavoli tecnici, a diversi livelli decisionali – i nuovi perimetri dimensionali e geografici delle scuole superiori del nostro territorio.
Una procedura sempre i’n progress’ che tiene conto di molti fattori ma quello principale è il numero degli iscritti di ogni scuola. In passato questa soglia era seicento, oggi è cinquecento ma dal prossimo anno si torna come prima. Alcune scuole di questo territorio sono ai limiti della sopravvivenza (amministrativa) e altre più tranquille come in tutta Italia. Nulla di sorprendente.
Resta il fatto che, soprattutto le istituzioni scolastiche posizionate ai limiti della soglia, ogni anno devono sperare, rosicchiare, raschiare per andare avanti con gravi ripercussioni sulla programmazione a medio e lungo termine, a tutto svantaggio del servizio formativo. Nemmeno per le scuole dai grandi numeri le cose sono sempre rose e fiori perché ogni anno potrebbero essere stravolte da nuove aggregazioni che ne modificano l’identità.
Ma il focus di questa riflessione va oltre il semplice meccanismo di soppressione o aggregazione delle scuole – in questo caso le scuole secondarie superiori – nel senso che l’offerta formativa, pensata per un preciso territorio (coerente al principio del’ autonomia) dovrebbe tenere conto di altri fattori al fine di determinare la qualità e la quantità degli ambiti scolastici.
Sembra ovvio ma se non si parte dalla territorialità intesa come valore, tenendo conto delle vocazioni imprenditoriali, culturali e sociali, si rischia di proporre un modello formativo fuori dalla realtà, ancora di matrice ottocentesca. Ma come non ragionare in termini di accessibilità (mobilità), tema che il Covid ha evidenziato come una delle più grandi criticità del sistema territorio e ancora, come non fare i conti con la demografia che ci restituisce un quadro allarmante con una curva che scende vertiginosamente proponendo una popolazione scolastica sempre più ridotta.
Viene da chiedersi se le scelte sono fatte in funzione del mantenimento dello status dei dirigenti (premiati o penalizzati) o per tutelare le diverse offerte formative a vantaggio della popolazione scolastica. Il dubbio resta. Ma ci si chiede chi siede a questi tavoli decisionali, con quali competenze e soprattutto se riescono ad avere una visione di sistema complessiva, cioè se hanno chiaro il modello territoriale e gli obiettivi “formativi”. E sono presenti, sempre a questi tavoli, tutti i dati necessari per fare scelte oculate, perché la mancanza di un quadro conoscitivo preciso mette a rischio persino le motivazioni più nobili.
Il quadro generale, e quindi le scelte strategiche, dovrebbero essere fatte da un soggetto sovracomunale (ex Provincia o Regione) che garantisca organicità e imparzialità sentite le comunità scolastiche e gli enti di governo, i cui pareri non possono essere vincolanti in termini assoluti. Ma per fare questo serve un piano, una visione, un progetto complessivo di “scuola” che non può prescindere dall’esigenza di ridisegnare il quadro generale, anche coinvolgendo (visione verticale) le scuole di primo grado e le scuole medie di secondo grado.
Il territorio che ha come polarità principale la città di Paternò (per ragioni storiche, infrastrutturali e strutturali) comprende Ragalna, Belpasso, Nicolosi, Pedara, Piano Tavola, Misterbianco, Motta, Castel di Judica, Ramacca, Centuripe, Biancavilla, Santa Maria di Licodia. Questo è il bacino di utenza e quindi dovrebbe essere il bacino decisionale che deve costruire le migliori condizioni di accessibilità allo studio. Ragionando sulla mobilità pubblica, pensando già all’arrivo della linea metropolitana che rafforzerà la dorsale Misterbianco-Paternò-Santa Maria di Licodia- Biancavilla, mentre a pettine confluiranno le restanti città. Per questo sarà importante potenziare e programmare molte attività dell’indotto scolastico.
Ma questo territorio ha bisogno di sostenere la filiera scolastica che afferisce all’ambito agricolo, turistico e culturale, principalmente. Magari creando poli scolastici, come quello dei licei: classico, scientifico e artistico; linguistico, delle scienze umane e musicale; o quelli tecnici: commerciale, turistico, agrario, tecnologico, comunicazione e alberghiero. Tre grandi aree formative (tre poli) che lavorano per offrire al territorio comprensoriale tutte le opportunità necessarie a migliorare la qualità della scuola e gestendo – ottimizzando – la popolazione scolastica. Ma la stessa cosa andrebbe fatta con la scuola primaria e media: aggregare e creare i comprensori (elementari-medie) per costruire un curriculum verticale condiviso e territorializzato. Perché tutto questo? Per gestire alcune scelte in maniera razionale, pensando a delle politiche di manutenzione dell’edilizia scolastica mirate, all’uso delle coperture del patrimonio scuola in chiave fotovoltaica, per gestire le strutture sportive e aprirsi alla città, per organizzare distretti scolastici e promuovere nuove strategie della mobilità periferica, per ricomporre il paesaggio culturale e produttivo. Per offrire ai giovani uno scenario più competitivo e accogliente. Ma serve anche attirare – usando il patrimonio dismesso – alcuni corsi universitari come medicina, turismo e beni culturali. Forse serve una riflessione complessiva e allargata per immaginare la scuola del futuro, lontana dagli intrighi localistici con una visione internazionale magari offrendo anche corsi di lingue per stranieri, lavorando di più per l’inclusione. Oggi siamo nel tempo del metaverso, dello studio delle lingue cinesi, arabe, russe, ecc.; siamo nell’era del glolocal, dei media, della transizione energetica, dell’e-commerce, non possiamo restare indifferenti e chiusi nei nostri recinti culturali e amministrativi. Serve una riflessione urgente sulla scuola di questo territorio che non è un’isola ma un arcipelago o se volete parte di una costellazione. Volevamo porre domande e aprire discussioni, sperando di animare il dibattito a una platea più ampia e qualificata.