Una delle aree più strategiche della città di Paternò, da sempre vincolata dagli strumenti di pianificazione – dal 1974 al 2008 (34 anni) – per accogliere funzioni pubbliche e collettive come parcheggi, verde attrezzato e strutture di quartiere – torna alla ribalta con una serie di proposte, delibere e ricorsi che non promettono nulla di buono per la collettività. La proprietà e l’Ente Comunale si trovano gli uni di fronte agli altri in una diatriba che si potrebbe trasformare in una “matassa” inestricabile.
Lo spazio urbano, al cui interno è collocato l’ex macello comunale, costituisce una risorsa fondiaria importante nel più ampio quadro delle strategie di pianificazione della città. Un luogo che costituisce una cerniera tra la città storica e il sistema naturalistico-archeologico delle Salinelle, tra la città moderna e gli impianti sportivi; ma la cosa più importante è il suo sottosuolo archeologico (ancora inespresso) e l’adiacenza di un suo confine con il camminamento della via Fabaria (Francigena) che dalla zona del nuovo cimitero porta verso Adrano, passando proprio per via Nazario Sauro.
Nell’ultimo strumento di pianificazione (vigente dal 2003 al 2008) è stata confermata la destinazione pubblica e da allora sono passati già 14 anni che sommati ai precedenti 34 registrano una condizione di occupazione temporanea complessiva di 48 anni: chissà a quanto ammonta il risarcimento che il Comune di Paternò deve alla proprietà? Parliamo di numeri importanti e per la stabilità delle casse comunali sicuramente devastanti. C’è da andarci con i piedi di piombo prima di fare esplodere un caso eclatante.
Tralasciamo la storia che ha determinato questa condizione di equilibrio precario, confermando la lungimiranza dei progettisti del vecchio Prg del 1974 che intuirono la necessità di salvaguardare l’area e di destinarla a funzioni pubbliche – ma erano altri tempi – atteniamoci a quello che andava fatto almeno dal 2008 in poi.
Oggi, da almeno da 14 anni, nulla è stato fatto e gli scenari normativi ed economici sono sicuramente cambiati rispetto agli anni ’70. Le ragioni che hanno portato all’uso della Legge 167/62 a Paternò (aree per l’edilizia economica e popolare) sono ormai decadute – almeno per quanto previsto in quell’area – sia per le mutate condizioni di mercato che per le nuove risorse normative e progettuali: siamo più consapevoli che un’area cosi importante ha bisogno di uno strumento come il concorso d’idee per poterla governare ma soprattutto la condivisione e la partecipazione dei privati (proprietari, investitori, portatori di sapere e di interesse) nei processi di gestione del progetto di trasformazione.
La Legge urbanistica della Regione Sicilia, la 19 del 2020, offre un quadro più coerente e utile per gestire un tema così complesso che incide sulla forma della città, sulla dotazione dei servizi ma certamente sul rilancio dell’economia, individuando nuovi modelli di sviluppo e nuove procedure progettuali. Le invarianti archeologiche, naturalistiche, rurali e della mobilità non possono non incidere nell’individuazione della migliore configurazione progettuale. Ma anche l’equilibrio tra interessi pubblici e interessi privati, guardando con attenzione anche alla necessità di costruire un ingresso urbano – per l’acropoli, per gli impianti sportivi, per il parco di San Marco, per l’asse dei mulini – degno di una città europea.
L’intervento potrebbe costituire finalmente un’opportunità per risanare quelle parti di città, costruite sulle Salinelle (San Marco), che potrebbero trovare in quest’area la giusta collocazione, attraverso un piano di rigenerazione complessiva. Sono due le tesi di Laurea – dell’Università di Catania e Enna – che negli ultimi anni hanno affrontato con la giusta sensibilità questo tema e andrebbero prese in considerazione.
Ma questa vicenda ripropone l’assenza della politica nel governo della città. L’ostinata condotta degli assessori all’urbanistica degli ultimi 14 anni a non procedere per la revisione del Pug (ex Prg) è la prova che qualcuno ha l’interesse affinché tutto rimanga nelle condizioni attuali di ingovernabilità o di governabilità discrezionale, umiliando e desertificando il tessuto imprenditoriale della filiera edilizia. Viene da chiedersi cosa ha fatto negli ultimi cinque anni l’ex assessore all’urbanistica per portare a conclusione la revisione del Pug e cosa ha fatto il suo predecessore? Sperando che il nuovo assessore – che conosce bene il tema e il contesto – possa riavviare un dialogo produttivo e concreto, calendarizzando i passi necessari fino alla conclusione del piano, senza prefigurare la ovvia “tela di Penelope”. Siamo sicuri che ha la sensibilità e l’esperienza per dare una scossa al sistema che ormai afferisce al grottesco. Ma serve un coraggio da leone per scardinare le baronie della burocrazia e delle lobby di settore.
All’interno dell’area è possibile coniugare il progetto di architettura alla scala urbana con gli obiettivi imprenditoriali, senza rinunciare all’utilità pubblica, ma lo strumento per governare tale processo non è quello intrapreso dalle parti, che rimbalzerà per anni solo carte bollate ma un piano d’azione condiviso, partecipato, concertato e sostenibile, serve un piano. Rimane la sensazione che – al netto delle parole dette e non dette – bisogna rompere l’incantesimo che monopolizza il mercato immobiliare in città, lasciando spazio all’innovazione, alla competitività, alle pari opportunità, alla valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale e alla qualità dei progetti. Accontentarsi serve solo a far sopravvivere questo “status” di cose che non sta producendo in città risultati accettabili sia sul piano economico che morale. Serve per questo una visione, quella che nessuno vede più all’orizzonte.