«Le nostre strade si sono separate», e la separazione «in queste elezioni è irreversibile».
Il segretario del Pd, Enrico Letta, chiude definitivamente a un’intesa elettorale con il Movimento 5 Stelle, e apre a una coalizione di centrosinistra che «chiameremo `Democratici e progressisti´» e «avrà al centro l’agenda sociale che vogliamo portare avanti». È evidente che il leader dem va in tv – da Lucia Annunziata a Mezz’ora in più – per strappare all’ormai ex alleato le sue parole d’ordine: «Noi siamo molto più progressisti dei 5 stelle», afferma, assicurando tuttavia che «non farò una campagna astiosa o arrabbiata contro Conte o contro di loro. Con loro abbiamo fatto un percorso che rivendico. Non mi sono pentito perché c’era stata un evoluzione dei cinque stelle», ma poi «Conte ha fatto la scelta di campo di abbandonare quella evoluzione».
È la risposta all’avvocato del popolo che – in un’intervista – afferma che «il Pd è arrogante» e «i progressisti siamo noi», osservando che l’accusa di essere un traditore «è un’infamia, ma non mi fa male». Resta il fatto che Letta non riesce a digerire la caduta del governo Draghi, «un suicidio collettivo della classe politica del nostro Paese, che ne esce molto ammaccata», e annuncia le future mosse per costruire «una lista aperta, espansiva, di cui ho parlato con Roberto Speranza, coi socialisti, coi cattolici di Demos, e che vorrei fosse guidata da 100 mila volontari». Si dice «pronto a parlare anche con altri, con chiunque sarà disponibile», ma «vorrei che ci parlassimo con spirito costruttivo e dicendo no alla logica dei veti», secondo la quale «se vengo io non viene lui». L’importante è avere «gli occhi di tigre, io ce l’ho» perché «non ho nessuna intenzione di perdere questa campagna elettorale, farò di tutto per vincerla» e «voglio solo candidati con gli occhi di tigre».
L’appello di Letta a costruire una nuova coalizione viene accolta con freddezza da Sinistra italiana – «non serve l’agenda Draghi ma un progetto con Pd e M5S», chiede il segretario Nicola Fratoianni – ma incassa invece la benedizione del ministro Renato Brunetta, fresco di addio a Forza Italia: «Il mio sogno è avere questa unione repubblicana che prenda l’agenda Draghi come base e metta insieme tutte le anime che vi si riconoscono», spiega, contemplando nel progetto «Calenda, Renzi, Toti, Bonino, Letta, Speranza» e anche «Di Maio che è stato un bravissimo ministro degli Esteri». Insomma, «un’unione e un rassemblement repubblicano», e «un listone allargato di presenze politiche che abbiano un programma politico: Letta sta lavorando su questo e ci stiamo lavorando tutti». In realtà, il leader di Italia Viva Matteo Renzi è più cauto, annuncia «dall’1 al 3 settembre si terrà una Leopolda anticipata» e avvisa: «Le alleanze non si fanno in base a simpatie o antipatie ma su idee chiare, forti e condivise. Siamo pronti a votare con il nostro simbolo e i nostri candidati che andremo a individuare». Soprattutto, in serata arriva l’apertura di Carlo Calenda: «Vorrei dire a Letta che apprezzo il fatto che finalmente abbia detto no al M5S. Noi siamo pronti a discutere» ma serve «chiarezza sul gas e i rigassificatori, sui rifiuti e i termovalorizzatori».
Sul fronte del centrodestra, invece, resta aperta la partita sulle regole d’ingaggio per le candidature e, soprattutto, quella sulla premiership.
I leader dovrebbero vedersi all’inizio della prossima settimana, in una sede istituzionale, ma intanto lanciano segnali. «Il centrodestra sarà unito, a differenza di una sinistra divisa e litigiosa. Chi governerà lo sceglieranno gli italiani con i loro voti, chi ne prenderà di più indicherà il premier, come è giusto che sia», precisa il segretario della lega Matteo Salvini, quasi a smentire i rumors circolati sulla possibilità di indicare come futuro presidente del Consiglio il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani, che in un’intervista si dice «a disposizione di Berlusconi e della coalizione». Un’ipotesi che avrebbe il benestare degli alleati europei. Ma il senatore di Fdi, Ignazio La Russa, avverte: «A Salvini e Berlusconi chiediamo pari dignità nella coalizione e il rispetto delle regole». Sullo sfondo c’è anche il nodo dalla ripartizione dei collegi uninominali con Lega, FI e i centristi (Udc e Noi con l’Italia) che ipotizzano la quota del 33% suddivisa equamente con FdI, la cui presidente Giorgia Meloni vorrebbe invece mantenere la regola adottata fino alle scorse elezioni politiche del 2018, con candidature decise tenendo conto anche dei sondaggi. Questi ultimi per ora assegnano il miglior risultato proprio a Meloni, che oggi su Facebook si rivolge direttamente ai suoi followers per metterli in guardia: «Con la campagna elettorale è ripartita, puntuale come sempre, la macchina del fango contro me e Fratelli d’Italia. Aspettatevi di tutto in queste settimane, perché sono consapevoli dell’imminente sconfitta e useranno ogni mezzo per tentare di fermarci».