Fatima Fernandes – dello studio portoghese Cannatà & Fernandes – è il primo architetto ospite di un nuovo ciclo di conferenze, organizzate della Fondazione degli Architetti PPC di Catania insieme allo stesso Ordine.
Futura – donne dell’architettura contemporanea – è il titolo del format che Melania Guarrera (delegata osservatorio pari opportunità dell’OAPPCCT) e Desiree Russo (referente progetto futura) hanno presentato alla comunità degli architetti nella sede di Largo Paisiello a Catania. Un lavoro sviluppato dall’osservatorio pari opportunità – della fondazione architetti PPC – che proseguirà nei prossimi mesi con altri ospiti internazionali.
Dopo i saluti di Sebastian Carlo Greco (presidente ordine architetti PPC, CT), Eleonora Bonanno (presidente fondazione architetti PPC, CT) Cinzia Torrisi (assessore cultura Catania) e Alessandro Amaro (presidente federazioni architetti PPC, Sicilia), il moderatore – Alessandro Mauro (docente accademia Abadir Catania) – ha introdotto la figura dell’architetto Fernandes, illustrando sinteticamente le sue opere e il suo lavoro in tutta Europa.
“Cercare e trovare” è il titolo della presentazione che Fatima Fernandes propone alla comunità di architetti e forse è anche la sintesi del suo lavoro. L’architetto portoghese propone attraverso un percorso originale, una serie di riflessioni sul valore dell’architettura e sulla sua funzione sociale. Scienze e tecnica sono essenziali ma la dimensione della sensibilità, dell’intuito e dell’emozione nel lavoro dell’architetto sono indispensabili per produrre spazio urbani e architetture “magnifiche, meravigliose” utili per la città.
L’architettura – dice la Fernandes – deve prima di tutto capire la morfologia e la topografia dei luoghi, scoprirne la dimensione “tattile”. “Capire” significa disegnare, guardare, ricostruire l’armatura fisica e trascendente dello spazio che si deve trasformare a partire dalla storia.
Le sue parole ci riportano alla consapevolezza che l’architettura non può fare a meno della poesia e dei poeti.
«La vita è ciò che di lei ne facciamo. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma quello che siamo» dice Fernando Pessoa. Incontrare i grandi maestri: Alvaro Siza, Eduardo Souto de Moura, Fernando Tàvora e crescere nella scuola di architettura di Porto è il suo primo viaggio incantato; il disegno lo strumento per capire e forse cercare.
Per la Fernandes l’architettura è una forma di vita e non una professione; il nostro compito è quello di risanare; il disegno serve per vedere, pensare, proporre; le municipalità dovrebbero promuovere progetti di qualità per indirizzare i privati nella stessa direzione; sono alcune delle frasi che hanno incantato il pubblico attento per ore alla sua esperienza professionale e umana. Poi – sempre con dolcezza – ha citato la sua amicizia con Angelo e Santo Buccheri (architetti catanesi) nella sua esperienza tra Messina e Reggio Calabria e ancora i grandi maestri: Aldo Rossi e Giorgio Grassi. Questi nomi sono un programma, un’idea, forse un testamento culturale, la necessità di riconoscere le proprie radici come per voler fissare “la tenda” per fondare la sua vita nella terra.
Ma si ritorna a parlare di disegno.
Questi vengono dai viaggi e tornano nei progetti, creando quello spazio interiore, quella emozionalità che rende l’architettura più felice. Ma il viaggio genera ricordi connessioni, implementa il patrimonio di forme e significati che si trasformano in dettagli e dispositivi, ancora una volta la storia che sostiene il futuro. Bisogna cogliere la sostanza della natura per poterla poi trasformare; la materia sociale e antropologica è necessaria per formare nuovi architetti e non possiamo separare l’arte dall’architettura, mai, sarebbe un grave errore; le case cambiano, si macchiano, si trasformano, accolgono il tempo che le rende diverse nel tempo più umane.
Edifico e naturalezza, artificio e natura. in fin dei conti l’architetto governa e indirizza questo rapporto a partire dalla topografia, dall’antropologia, dalla tecnologia.
Luciana Macaluso, docente università di Palermo, ha chiuso – in tarda serata – l’incontro con alcune riflessioni, sollecitando Fatima Fernandes a mostrare la parte più nascosta del suo lavoro di architetto, individuando alcune analogie tra la scuola di architettura di Porto e l’esperienza di Pasquale Culotta a Palermo.
Una cosa sembra emersa: donna o uomo, poco importa.
L’incontro tra i due generi è importante e produttivo e solo l’incontro genera qualità. Incontro non scontro o prevaricazione. Ogni progetto genera un conflitto tra i due partners (Cannatà & Fernandes) ma alla fine il progetto è la sintesi delle loro storie, dei loro viaggi, delle loro emozioni. Inclusione, socialità e tecnica, il disegno come strumento per capire e quindi trovare. Questo mestiere si fonda sulla continua ricerca, ma prima serve capire. Una Lectio Magistralis che rende merito agli organizzatori e offre un’opportunità straordinaria per allargare gli orizzonti culturali della comunità catanese.
Come diceva George Braque,
“amo l’emozione perché corregge la ragione e amo la ragione perché corregge l’emozione”. Forse una possibile sintesi del suo lavoro. Ma Fatima Fernandes ci regala una citazione illuminante per l’architettura: «Voglio ancora vedere/Nei fiori all’alba/Il volto di un dio» di Matsuo Bashō. Bisogna ripartire da questa espressione per ritrovare il senso dell’architettura e di quel mestiere che è l’architetto (uomo o donna che sia).