E’ stata una giornata di attesa e tentate mediazioni quella che ha preceduto il voto di fiducia in Senato – oggi – sul decreto Aiuti, ma poi alla fine il M5S decide di andare fino in fondo, aprendo la strada alla crisi.
I fatti. Giuseppe Conte riunisce il Consiglio nazionale di buon mattino e la riunione va avanti fino a sera, con una sola pausa pomeridiana, durante la quale spariscono dai radar sia il leader pentastellato che Mario Draghi. Si arriva ad ipotizzare un dietrofront e un rientro nei ranghi a un passo dal dirupo, ma a sera l’ex premier per «linearità e coerenza» conferma che il M5S non parteciperà al voto sul provvedimento (e quindi anche sulla fiducia, dal momento che a palazzo Madama la votazione è unica). La volontà, comunque, è quella di non strappare.
«Chiediamo di entrare in una fase di governo completamente differente – spiega Conte parlando in diretta Facebook dalla riunione con deputati e senatori – Abbiamo preteso un cambio di passo del governo nell’esclusivo interesse dei cittadini».
Ora gli occhi sono puntati su palazzo Chigi, con l’ex capo della Bce pronto a rimettere il mandato nelle mani del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Gli scenari – stando ai paletti fissati da Draghi in conferenza stampa – a questo punto sono due: il capo dello Stato rimanda in Parlamento il premier per la verifica della maggioranza o – se l’inquilino di palazzo Chigi mantenesse il suo rifiuto – scioglie le Camere con la conseguente indizione delle elezioni a settembre.
In realtà, la `scelta´ di Draghi, racconta chi ci ha parlato, è sempre la stessa. Il premier la ribadisce anche a Conte nel corso di una telefonata. Il colloquio è interlocutorio, il leader M5S riferisce all’inquilino di palazzo Chigi che il Movimento non ha ancora preso una decisione sul comportamento da tenere domani al Senato. I due si concentrano poi sull’agenda di Governo, sul merito dei singoli punti e su alcuni necessari approfondimenti, ma il nodo politico resta l’impossibilità manifestata da Draghi ad andare avanti dopo un eventuale Aventino del movimento sulla fiducia. «La guerra sarà lunga, l’inflazione sale e i costi dell’energia non scenderanno. Serve un Governo in grado di fare le cose, non una trattativa continua su tutto», è la linea.
Dopo la decisione del M5S, quindi, Draghi dovrebbe rassegnare le sue dimissioni nelle mani di Mattarella, dando seguito alle parole pronunciate ieri in conferenza stampa: «Non esiste un Governo senza il M5S, non esiste un governo Draghi oltre l’attuale». Chi ci ha parlato continua a escludere la possibilità di andare avanti, magari dopo un nuovo voto di fiducia, bypassando il possibile strappo pentastellato sul decreto Aiuti. Anche su questo punto, sia palazzo Chigi che il Quirinale rivendicano piena sintonia. Il presidente della Repubblica interverrà – se sarà necessario – a tempo debito, ma in ambienti parlamentari è dato per certo che abbia trovato il modo di far arrivare a Conte una sottolineatura circa la delicatezza del momento e la necessaria responsabilità che ne consegue. Così, se il leader pentastellato chiede al suo successore nuovi segnali, è anche da palazzo Chigi che viene rappresentata la necessità di una svolta, anche comunicativa, da parte di quello che fino a qualche giorno fa era il maggiore stakeholder dell’esecutivo: «E’ importante – ragionano gli uomini vicini a Draghi – che il M5S trovi il modo di rappresentare questa coincidenza tra l’agenda del governo e i punti sollevati da Conte, in modo da rendere credibile il fatto di proseguire insieme nell’esperienza di Governo».
Segnali chiari arrivano anche da altri partiti che compongono la maggioranza. E’ Matteo Salvini il primo a imprimere una rotta alla possibile crisi: «Se i 5S non votano un decreto della maggioranza, fine, parola agli italiani. Si va a votare. Se vanno avanti così mi pare che la strada sia segnata, lasciamo perdere altre robe strane», sentenzia. Di più. «Non siamo disposti – scandisce – a rimanere in una maggioranza di governo senza il M5S. Meglio far parlare gli italiani che andare avanti sulle montagne russe». Poche ore dopo è Enrico Letta a confermare la linea, cercando in qualche modo di far ragionare l’alleato: «Non è una nostra ripicca il fatto di dire che se cade il governo si va al voto. E’ nella logica delle cose visto quello che Salvini e Berlusconi hanno detto». A sera, quando Conte ha espresso il suo verdetto, da via Bellerio la sintesi è lapidaria: «la maggioranza non c’è più, parola agli italiani». E intanto arriva la telefonata tra Berlusconi e Salvini a confermare la `piena sintonia´. I due leader si risentiranno domani: «il centrodestra di governo prenderà decisioni comuni», è la linea. Giorgia Meloni non va per il sottile: «Il governo `dei migliori´ è immobile, alle prese con i giochi di palazzo di questo o quel partito. Basta, pietà. Tutti a casa: elezioni subito!». Letta prova a fare un ultimo tentativo per tenere insieme la squadra e si rimette a Draghi e al Parlamento: «Chiederemo di fare una verifica per capire se questa maggioranza c’è ancora o no».
Il M5S composto da persone incompetenti incapaci alcuni bugiardi altri vili