La vicenda “villa comunale” a Paternò è quasi un mistero, almeno così sembra.
Nel momento topico della campagna elettorale, i candidati sfidanti – dopo uno dei più classici dei sopralluoghi, alla ricerca delle criticità irrisolte dalla precedente amministrazione – scoprono un’installazione di pietre anomala nella zona della bambinopoli. Un gioco? Una provocazione? Un atto vandalico? Oppure altro? Attraverso la collocazione di pietre, probabilmente ricavate da un muro perimetrale dismesso, qualcuno (forse più di qualcuno) ha disegnato a terra e inciso sugli alberi tante figure prese a prestito dalla simbologia universale. Tanto scalpore, tante ipotesi, mille congetture. Magari una versione nostrana dello scherzo delle statue di Modigliani a Firenze di qualche anno fa. Questi i fatti a oggi, vedremo più avanti.
Ma quello che ci colpisce è il contorno grottesco alla vicenda.
Bisogna aspettare il clima da campagna elettorale per visitare la villa comunale, per accorgersi che qualcosa, dentro quel contenitore pubblico non va. Bisogna sperare nella campagna elettorale per accendere le luci della ribalta e attivare i processi di governo dello spazio pubblico. Abbiamo concentrato tutte le attenzioni ovunque ma nessuno si era preoccupato di visitare la villa comunale? E meno male che qualcuno è andato a verificare e magari sarebbe più normale che queste verifiche si facessero più spesso e spieghiamo il perché. Dopo gli appelli sui social ha cominciato a circolare una lettera degli uffici comunali che denunciava l’accaduto ed evidenziava che quel tipo di abbandono che ha indignato tutti perdurava già da tempo e si sollecitava l’Arma dei Carabinieri al fine di predisporre maggiori controlli.
Ma c’è da chiedersi, se non siamo in grado di governare gli spazi pubblici, se non riusciamo a controllare quello che avviene dentro i luoghi che teoricamente sono sotto la nostra responsabilità, come possiamo gestire una città intera? La villa, in pratica, è diventata quella porzione della nostra proprietà che abbiamo deciso di abbandonare al suo destino permettendo a chiunque di fare quello che vuole – giusto o sbagliato che sia. Il punto è che abbandonare una porzione di città – parco, edificio, strada, – costituisce l’inizio di una regressione irreversibile. Non bisogna aspettare le attenzioni dei candidati sfidanti in clima di campagna elettorale. Da una parte sembrerebbe una questione di superficialità politica, dall’altra una cattiva organizzazione della macchina amministrativa. Insomma, così c’è qualcosa che non funziona. Poi diventa imbarazzante che lo stesso organo che avrebbe dovuto controllare ammette di aver ricevuto le legittime segnalazioni dal personale interno (custode), ma solo adesso ha deciso di sollecitare a sua volta i carabinieri. Torna in mente la vicenda del furto al Museo archeologico Monsignor Savasta di qualche anno fa. Una batteria scarica del sistema di antifurto ha permesso ai ladri di fare i loro comodi indisturbati. Ancora una mancato controllo delle “propria roba”. L’elenco potrebbe essere infinito e non basterebbero solo le prossime elezioni a far emergere ogni cosa.
Allora mi chiedo, non sarebbe più semplice mappare il patrimonio comunale e predisporre per ogni luogo una precisa attenzione e strategia di gestione? Magari coinvolgendo più attori, tra gli enti e le associazioni disponibili sul territorio? E non solo, agire occupando questi luoghi con attività continue. Sembra al contrario che certi parchi – per esempio – sono catalizzatori di ogni attenzione finanziaria e politica mentre altri sono solo una “rogna”. Ma le rogne, si sa, prima o poi saltano a galla, specie durante le campagne elettorali, e sono guai. In pratica, chi dovrebbe governare lo spazio pubblico – prima di tutto – lo abbandona al suo destino, facendo insinuare la cultura del vandalismo e dell’uso improprio, come per la villa comunale.
La villa tra l’altro è uno spazio della memoria molto importante per la città.
L’area è prima una tenuta dei Moncada, successivamente è destinata a parco pubblico e per questo progettato dall’ing. La Russa, lo stesso che Michelangelo Virgillito incarica di redigere il progetto del santuario della Consolazione. Nel 1943 diventa ospedale da campo e subisce i bombardamenti che provocano diverse vittime. Luogo di svago per i paternesi è stata una delle sedi prestigiose della fiera di settembre e le sue attrazioni botaniche sono ancora potenzialmente fruibili, magari con una manutenzione più costante. All’interno ci sono delle fontanelle d’acqua quasi frizzante e il suo sottosuolo è ricco di acqua, lambito tra l’altro da un antico condotto idrico proveniente dalla zona di Patellina. All’interno sono presenti alcune sculture (busti di personaggi famosi, come Moncada, Cutore e Crispi per esempio) ma soprattutto la statua di Demetra (Cerere per i Romani), e un’opera di Pippo Russo e tante piccole leggende, fantastiche a antiche, persino misteriose. Demetra campeggia e domina lo spazio prospettico e ricorda la natura sacra di questa città, la sua dimensione pre-cristiana, la sua vocazione agricola (ogni tanto osservando le opere della passata modernità (1900-1980) mi sembra di intuire che gli attori del tempo nelle trasformazioni urbane e artistiche avevamo una maggiore conoscenza della storia e una più spiccata sensibilità, oggi sembra tutto dimenticato, mi sbaglio?).
La villa comunale è anche altro come il luogo preferito dagli anziani per la sua pace, la mitezza dei suoni e della luce, il suono dell’acqua che scorre e una volta le papere e altri animali come l’orso. Altri tempi, ormai anacronistici ma forse servirebbe un progetto diverso per il suo rilancio. Magari pensare a un parco dell’arte e della memoria, attrezzandolo con nuovi servizi, migliorando gli esistenti, rifacendo la pavimentazione e istallando le video camere. Forse anche ampliando la sua estensione verso la stazione della ferrovia e inglobando l’ex Albergo Sicilia, oggi ridotto a ricovero un accampamento di fortuna per gli extracomunitari. Potrebbe diventare, cioè, quel polo della formazione e dell’accoglienza – Alberghiero o Agrario – che risolverebbe l’imbarazzo della citta metropolitana che in fin dei conti non sa cosa farsene e vorrebbe disfarsene presto. Riepilogando: se la collettività (politica, cittadini, ecc.) abbandona un luogo, quel luogo viene occupato, dentro i suoi interstizi, da chiunque senza nessun controllo e il risultato sono quelle pietre, messe una dietro l’altra per formare un disegno che ci ricorda un tempo lontano. Allora non ci resta che chiederci: vandalismo o provocazione nelle istallazioni delle Villa comunale?