Al centro di ogni azione politica deve esserci la ricerca del benessere e della dignità dell’uomo. Il lavoro (che manca) è il vero “grande” problema delle nostre comunità.
Il lavoro è anche libertà. L’uomo vive del proprio lavoro e per questo costruisce durante la vita le condizioni per esercitarlo al meglio. Attitudini, talenti, vocazioni e necessità, tutti alla ricerca del proprio lavoro. Faticoso, ripetitivo, esaltante, intrigante ma pur sempre “lavoro”.
La politica ha il dovere di creare le condizioni per la produzione del lavoro in tutti i settori strategici, per favorire una “crescita felice” della comunità. Significa pensare a uno o più modelli di sviluppo che tengano conto delle risorse disponibili e del mercato. Una complessità da governare, dove la formazione e le connessioni (fisiche e digitali) sono determinanti per sviluppare economie pulite.
La politica opera delle scelte che possono condizionare il futuro di un territorio, arricchendo o impoverendo il tessuto produttivo e quindi sociale. Il benessere produce evoluzione personale e collettiva. Se c’è benessere siamo più predisposti verso forme più nobili di felicità come il godimento di un evento culturale.
Ma il lavoro potrebbe essere anche uno strumento di ricatto che impedisce l’esercizio della libertà.
La felicità esiste solo se lavoro e libertà coesistono: in caso contrario si parlerebbe di schiavitù. La politica deve, quindi, garantire sia il lavoro che la libertà di scegliere il lavoro. Ma la politica deve andare oltre, deve garantire l’autonomia nel lavoro senza che esso sia condizionato. In pratica il lavoro attribuito come riconoscimento di un merito professionale e sociale.
Qualche volta il lavoro segue altre strade.
Può diventare il riconoscimento di un merito sessuale, di un ricatto prestazionale oppure elettorale. Il lavoro a condizione che: si faccia sesso, si restituisca il favore, si voti quello, si paghi quell’altro o si storpi la legge. Il ricatto più ignobile, il lavoro ‘a condizione che’. La politica dovrebbe garantire – con le sue leggi e i suoi comportamenti – queste anomalie del sistema che si configurano come un peccato verso Dio e verso gli uomini. Insomma una cosa brutta.
In campagna elettorale queste anomalie – dentro e oltre la norma – si fanno più asfissianti. La politica qualche volta finisce per usare strumenti coercitivi che umiliano la dignità dell’essere umano. Invece di chiedere la condivisione di un’idea, la co-partecipazione a un progetto si esercita il ricatto, palese e velato. Ammorbidito da una mielosa crudeltà. Un ricatto che condiziona la nostra libertà di scegliere secondo la nostra coscienza. Un ricatto che falsa la misura del nostro consenso politico, facendoci sembrare quello che non siamo.
Quella sacralità che ci appartiene, il diritto di scegliere, viene compromessa dal ricatto politico. Diffamazioni, ostracismi, isolamenti, agguati e tanto altro sono gli strumenti del “boia”. Killer incaricati di eseguire la sentenza dopo che si è accertato che lo ‘sventurato’ non si è sottomesso al volere del potere. “Ominicchi e quaquaraquà” al servizio del “Don Rodrigo” di turno. Un atlante di follie e crudeltà che hanno come ultimo scopo distruggere il senso della democrazia e della libertà di un popolo. La politica è spesso tentata nell’utilizzo di tali pratiche e spesso le usa per implementare il suo potere autoreferenziale. Oggi, tra l’altro, usa strumenti più raffinati come la gogna mediatica, il condizionamento della stampa, la pressione bancaria e fiscale e anche i social.
Ma il ricatto sul lavoro è il più praticato.
L’obbligo dei dipendenti a votare quel candidato, le pressioni asfissianti e la paura di perdere il lavoro per non poter mantenere la famiglia, la preoccupazione per un eventuale esilio o un declassamento professionale. Gesti ignobili e peccaminosi. Offese all’umanità. Dal capolarato nei campi al mercato dei call center, dai dipendenti pubblici a quelli privati, ovunque ci sia un conflitto tra le richieste del “superiore” e le idee del “sottoposto”. Ma le campagne elettorali sono crudeli e tutto è concesso. E diciamo che non è proprio così.
La politica deve fare un passo aventi in questo senso e garantire un codice etico sottoscritto da tutti che condizioni l’esito elettorale, oltre le norme già in vigore. Il politico che vince per un ricatto sul lavoro ai danni dei suoi dipendenti equivale a chi si vanta di aver conquistato l’interesse di una donna (o di un uomo) attraverso l’uso del denaro. Lascio a voi la deduzione conseguente. E nemmeno far finta di nulla è cosa buona e giusta, facendo finta di non sapere, troppo facile direi, girarsi dall’altro lato per sentirsi con la coscienza pulita. Serve la libertà di scelta per avere una società motivata, consapevole e solidale.
Se la politica vuole fare qualcosa per il cittadino deve lavorare in altre direzioni.
Per esempio attraverso progetti di sostegno e incubazione, per le proposte innovative nel settore agricolo, artigianale, commerciale e dei servizi alla persona. Sostenere le piccole attività produttive offrendo servizi comuni e condivisi costituendo le reti produttive. Rendere più accessibile e fruibile il patrimonio culturale e ambientale, innovando la ricerca per produrre economie indotte di servizi. Promuovere l’attivazione di nuovi “cantieri” e dare premialità a chi assume disoccupati attraverso una trasparente certificazione. Incentivare l’autoimprenditorialità e un patto con scuola e università, per avviare un ciclo virtuoso di formazione e lavoro che non sia solo mediatico o di propaganda. La politica può e deve fare qualcosa ma sicuramente non deve ricattare nessuno. Si lasci premiare dagli elettori per i meriti o per i buoni propositi, ma non per paura. Perché al centro di ogni azione politica deve esserci la ricerca del benessere e della dignità dell’uomo.