«Suonano le sirene e ci infilano in questo bunker. Un’impressione tremenda, perché non capisco quanto tempo devo stare lì e cosa devo fare. I bambini cominciano a piangere. Ammetto che mi manca l’aria, tengo a freno la mia ansia e riesco a fare la diretta».
È il racconto di guerra del giornalista adranita del TG1 Giuseppe La Venia, ieri (mercoledì 30 marzo), al Circolo Operai “Barone Benedetto Guzzardi” di Adrano.
Rientrato da pochi giorni dall’Ucraina, dove era inviato Rai a Leopoli, il giornalista ha ripercorso alcuni dei drammatici momenti passati nella zona del conflitto voluto da Putin e nelle ‘zone rosse’ del Coronavirus. Lo ha fatto nel corso di un incontro intitolato “Peggio del covid, c’è la guerra”, condotto da Nicola Savoca, direttore del Corriere Etneo. Una sala gremita di concittadini ha accolto con entusiasmo il giornalista, al quale il presidente del Circolo Operai, Salvatore Longo, ha consegnato la targa di ‘Socio dell’Anno’.
Storie civili dalla guerra raccontate da La Venia nei suoi servizi che accompagnano la pesante distruzione degli edifici delle città ucraine.
Storie di macerie umane – al di là di ogni retorica – di bambini condotti fuori città con la scusa di una vacanza immaginaria, di donne che, con i loro figli, fanno la fila nelle stazioni, dove sono costretti a dormire per riuscire a prendere i treni stracolmi, l’indomani. «Mi avvicino tanto ai fatti che racconto», ha dichiarato il giornalista adranita che dalla fase1 dell’epidemia, inviato nelle ‘zone rosse’ del covid, non è più riuscito a tenere quella distanza emotiva necessaria, in genere, perché «altrimenti restano semplici numeri». Avvicinarsi ai fatti e agli individui: lo sguardo professionale di Giuseppe La Venia, che gli ha consentito di distinguersi come uno dei volti più apprezzati del giornalismo italiano. Nel 2020, con la pandemia dilagante, è la compagnia più fidata e rassicurante entrata nelle case di tutti gli italiani, con i suoi servizi sul TG1 da Codogno, nel Lodigiano – e da Napoli, nella seconda fase. Una presenza costante, di speranza: «Ero diventato come il Gabibbo, le madri mi chiedevano di salutare i bambini che guardavano il tg».
Chiamato a ‘coprire’ la guerra vera di Putin contro l’Ucraina, Giuseppe La Venia conduce i suoi servizi dapprima, al confine con la Polonia, per spostarsi, in seguito, in Ucraina, a Leopoli, centro importante da raccontare, perché sede di associazioni umanitarie, di ambasciate – che stavano lasciando Kiev – e punto d’approdo dei profughi. Nell’incontro di ieri, La Venia si è soffermato sull’«effetto inedito» delle sirene che rimbombavano nella città e dei bunker, dove, assieme alla sua troupe, montava e scriveva i pezzi da mandare in onda al TG1. Qui, ode una musica familiare, quella dei Maneskin. Un ragazzo li stava ascoltando in cuffia e ha esclamato: «Mi fanno sentire libero, quando sono nel bunker». Una scena che ha colpito molto il giornalista Rai che ha contattato la Sony per regalare un po’ di felicità al giovane, nella speranza che egli possa incontrare il gruppo. Momenti narrati da La Venia con autentica sensibilità.
Il giornalista adranita ha parlato di ciò che ha visto appena pochi giorni fa: boati, fiamme, fumo, «orfani di guerra» i cui genitori sono rimasti in città a combattere, o a morire.
Scene, indubbiamente, molto dure da metabolizzare: «Il cameraman ha poggiato la camera a terra e si è messo a piangere. La stessa cosa è capitata anche a me». Ancora, le condizioni critiche dell’ospedale pediatrico oncologico, ridotto a condurre i bambini, affetti da tumori e leucemia, negli scantinati, «tra la muffa e i calcinacci», per poter continuare i cicli di chemioterapia, con la paura che tutto crolli, da un momento all’altro. Immagini forti, quelle riportate da La Venia, che stridono con la freddezza disumana delle azioni di distruzione in atto: «Chi tenta di giustificare le scelte di Putin, non può prescindere dal fatto che stanno bombardando queste persone».
Le giornate trascorrono tra l’organizzazione dei servizi per la Rai, la ricerca di bancomat funzionanti e le chiamate fatte da Giuseppe La Venia alla sua famiglia, per rassicurarla: «Paradossalmente, sei talmente preso dal racconto, che non ti rendi conto di quello che arriva a chi legge o guarda. Racconti quello che vedi, da casa è molto peggio». La percezione viva, racconta il giornalista adranita, è l’unità e la forza degli ucraini: «Il popolo vuole combattere, sotto la Russia non vuole starci, perché ha già provato in passato». Come la città di Leopoli, «completamente europea» e rivolta verso un modus vivendi che niente ha a che vedere con le logiche russe.
Tra i momenti più difficili dei quali ha fatto esperienza, La Venia riporta il momento in cui – durante l’arrivo in Ucraina – vengono trattenuti e controllati da cima a fondo, perché sospettati di essere delle spie. Ammette di non aver vissuto circostanze di reale pericolo. Il suo racconto dà prova del profondo rispetto verso i fatti narrati, del volere focalizzare l’attenzione sulle storie laceranti degli individui incontrati. A risaltare è l’umiltà del giornalista Rai che ha mosso i primi passi nell’emittente locale TVA, prima, e a Telecolor, poi. Sui servizi da lui realizzati riferisce: «In televisione mi vedo solo io, ma io sono il risultato di un lavoro che fa l’operatore, il montatore e la sua sensibilità». Insieme al premio ‘socio dell’anno’, a chiusura dell’incontro, il Circolo Operai di Adrano ha voluto donare al giornalista Rai una maglietta dell’Ucraina, con il nome di Cristiano Ronaldo, pensiero per il piccolo Dimitri, il bambino malato di leucemia con il quale Giuseppe La Venia si è ritrovato a giocare a calcio, in un toccante frammento di vita ucraino raccontato. Quando Dimitri indosserà quella maglia vorremmo vedere il suo sorriso.