Venerdì si celebra la Giornata nazionale in memoria delle vittime di covid. A Biancavilla, il Comune scoprirà una stele per ricordare donne, uomini e camici bianchi scomparsi per colpa della pandemia.
Il Corriere Etneo ha chiesto una testimonianza al biancavillese Michele Gatto, 31 anni, vive e lavora a Parma come ricercatore in Ingegneria geotecnica ed è anche un apprezzato musicista. Suo padre, Nino, è morto a causa del virus durante il ricovero in ospedale. Una settimana dopo la sua scomparsa, ricorda il figlio, in tutta Italia si iniziava a somministrare il vaccino.
<<Il coronavirus ha effetti gravi solo su anziani o persone con malattie pregresse. Su tutti gli altri, si manifesta come una semplice influenza di stagione>>. Quante volte abbiamo sentito queste affermazioni o le abbiamo rivolte a qualcuno per rassicurarlo?
Sono il figlio di Nino, 66 anni, non anziano, affetto da 30 anni da colangite sclerosante, malattia autoimmune che colpisce il fegato e non è responsabile delle complicazioni della polmonite da Sars-CoV2. Eppure, papà è uno dei 157 mila tasselli del mosaico delle vittime italiane della pandemia di covid-19. Vittime innocenti, colpevoli solo di essersi trovati nel posto sbagliato in momenti sbagliati.
Un momento sbagliato era quell’attimo in cui, mentre abbassava la guardia, questo maledetto organismo “invisibile” l’ha colto di sorpresa.
Un momento sbagliato era novembre 2020, quando la variante (Alfa o Delta) era tutto fuorché inoffensiva per i più. Era maggiormente sbagliato in Sicilia, dove quella che era la vera prima ondata, seppur posticipata di sei mesi, aveva colto tutti impreparati e per entrare in pronto soccorso bisognava passare ore dentro ambulanze che aspettavano in fila davanti all’ospedale. Era sbagliato perché l’Italia e tutto il resto del mondo avrebbe provato a “rinascere come un fiore” solo a fine dicembre, con l’arrivo dei vaccini.
I locali addetti ai lavori hanno più volte affermato che era stato sbagliato pure il momento in cui papà è andato in ospedale, “troppo tardi”, anche se noi e lui in primis c’eravamo semplicemente affidati alle cure domiciliari per una settimana, perché <<gli ospedali erano pieni>>, dicevano, e bisognava provare a curarsi a casa. Mi sono più volte chiesto se un malato di covid che arriva in ospedale “troppo tardi”, resta a combattervi per 30 giorni.
Non riesco a non pensare come mio padre sia stato sfortunato in tutta questa situazione, forse anche per essersi fatto cogliere di sorpresa nel posto sbagliato (da un punto di vista geografico), oltre che in un momento sbagliato. Anche se ormai, con il tempo, i dubbi, le domande e le perplessità hanno lasciato il posto ad una silenziosa accettazione di un destino che non si può cambiare.
Questa pandemia che va avanti ormai da due anni, fra ondate, curve, numeri di contagi, posti letti occupati, vittime, ha scritto una pagina tristissima della nostra storia contemporanea. Ma da questa storia, cosa abbiamo realmente imparato?
Chi ha perso qualcuno si sarà sicuramente reso conto di quanto la vita possa essere imprevedibile, di come un virus minuscolo possa in poco tempo piegare una persona, cambiandogli addirittura i connotati.
Quei tre mesi chiusi in casa, in cui abbiamo ridotto tutto all’essenziale, con i congiunti e fisicamente lontani dai contatti abituali, ci hanno fatto credere che fossimo diventati persone migliori. Ma poi è bastata un’estate e le esigenze personali anteposte a quelle collettive per farci ricadere nel baratro di una nuova ondata devastante.
La consapevolezza che un vaccino poteva rappresentare la strada speranzosa verso la luce è stata presto scavalcata dalla diffidenza verso un vaccino che “era arrivato troppo presto”, che gli scienziati non avevano avuto modo di testare opportunamente e per questo noi avremmo rappresentato le loro cavie.
Sapete che mio padre se n’è andato esattamente sette giorni prima che in Italia iniziasse la somministrazione del vaccino? Avete presente quando c’è un treno in partenza e nonostante voi facciate le corse verso la stazione, lo perdete? Forse gli scienziati hanno provato a far questo, fare prima che potevano, anche se, purtroppo, molti erano già andati via. Magari se papà si fosse ammalato dopo essersi vaccinato, avrebbe avuto conseguenze minori. O forse no. Di sicuro, sarebbe stata per lui una possibilità in più.
Pensiamo spesso di essere invincibili, che le cose brutte non ci riguardano mai, che ci raccontano “quello che vogliono” solo per seminare paura e “tenerci sotto controllo”. Se solo ascoltassimo di più, se solo avessimo più rispetto, se solo avessimo più fiducia delle indicazioni (a volte anche comprensibilmente contraddittorie). Forse oggi una moglie avrebbe ancora il proprio marito, dei figli i loro genitori, dei nonni il tempo di vedere crescere i propri nipoti.
Il mio piccolo pensiero è per quei 157 mila eroi, vittime sacrificali di un mondo spesso ingiusto, che meritano di essere ricordati oggi e per sempre.
Michele Gatto