Paternò, quello che i candidati sindaco non dicono: le mille anime dei competitor

Quello che i candidati sindaci non dicono, per parafrasare una vecchia canzone di Fiorella Mannoia.

Siamo dentro una fase delicatissima della campagna elettorale e nessuno vuole sbilanciarsi sui temi che interessano la gente e gli elettori. I candidati sindaci sono Impegnati a costruire le coalizioni che ad oggi sono plastiche, quasi liquide. Presi dalla necessità di fronteggiare le tante possibili emorragie e trasfusioni da un corpo all’altro.

Il sondaggismo è lo sport più praticato in città ma quello che manca sono i contenuti.

Bocche cucite, nessuno vuole o può esprimersi sulle vere questioni. Come imbavagliati o condizionati dalle tensioni interne. Ma era prevedibile. Ogni coalizione ha dentro di sé mille anime ed esporsi in un senso rischia di fare esplodere in anticipo gli accordi ancora tutti da definire. Un gioco di muscoli da parte di alcuni gruppi rispetto ai candidati che rischiano di rimanere schiacciati dagli stessi alleati, un fuoco amico che può fare male più dell’avversario. Non c’è solo la questione della scelta degli assessori e del vice sindaco ma anche la condivisione dei programmi. Se andiamo oltre i luoghi comuni, alle frasi fatte e scontate come: amo Paternò, sono per il suo sviluppo, crediamo nella legalità ecc. non c’è altro da dire. Foto, video, dichiarazioni vaghe, muscoli in bella mostra ma nulla di più.

I tre candidati, ops, i quattro candidati, sono come persi.

Schiacciati da una macchina organizzativa ancora tutta da verificare. Colori, inquadrature, slogan, e quel maledetto programma da scrivere, condividere e presentare tra qualche mese. Un incubo. Sono tutti dentro un frullatore impazzito, che li trascina da una riunione all’altra, da una telefonata all’altra con la curva dei sorrisi che sembra impazzita verso l’alto. Ma nello stesso tempo divorati dai sospetti e dai complotti, contro tutto e contro tutti. Un amico diventa un nemico e un nemico un amico. Un gioco che logora tutti, inutilmente.

Ma di contenuti non se ne parla e guai a chiedere.

Ancora dobbiamo capire chi siamo. Ancora dobbiamo capire dove vogliamo andare. Queste le risposte in sintesi. E gli elettori stanno a guardare, più le foto e i sondaggi che altro. Preoccupati, loro, dalle criticità della città reale ricevono solo sorrisi, sorrisi e sorrisi. Tutto molto vago.

Ma cosa non possono dire i candidati sindaci?

Ovviamente tutto quello che li renderebbe impopolari a una parte del potenziale elettorato. E sarebbero guai. Alcune domande sarebbero imbarazzanti, da diventare rossi come peperoni. Le lobby di questa città sono inserite in ogni coalizione con quote di maggioranza e stanno controllando ogni possibile curvatura del programma. La necessità è garantire le rendite di posizione, il controllo dei processi di trasformazione del territorio, gli orti e i cortili di appartenenza e di proprietà. Qualcuno è pronto a vincere comunque, qualunque cosa succederà. Ogni coalizione contiene una quota di destra, una di sinistra e una di centro. Ogni coalizione contiene del bene e del “bravo”.

La cosa strana è che ogni candidato sembra vivere in un mondo parallelo isolato dalla realtà. Centrifugato e ovattato. Ancora senza ali. Forse sarà questione di tempo, forse più avanti qualcuno prenderà il volo e mostrerà il coraggio che ad oggi è generico e scontato. Ma il giudizio dell’elettore sarà sulle argomentazioni che si metteranno in campo, sugli uomini che rappresentano queste idee, sulla capacità di comunicare con semplicità e sincerità una visone di città. Che non può essere solo amore, legalità e fratellanza. Ci vogliono fatti concreti e circostanziati. Serve un’idea visionaria e pratica. Ma su alcuni temi serve il coraggio delle idee, anche di quelle che non faranno piacere agli amici o agli alleati. E chi lo spiega a quelli che quel nome come assessore non funziona? Sarà anche per questo che tutti parlano di altro.

Ma chi rischia di fare una gaffe con gli alleati?

Ad oggi nessuno, bocche cucite. Certo, resta da capire se il silenzio attuale è solo frutto di questi imbarazzanti tensioni interne o se più banalmente non ci sono idee. Oltre gli slogan che sono reperibili sul web a poco prezzo. Gli elettori potrebbero votare seguendo un istinto e se fossero consapevoli del vuoto potrebbero anche decidere di restare a casa o votare come se fossero a una ricevitoria per compilare la schedina della domenica. Guai a questa possibilità, guai per tutti.

Chissà cosa diranno, se ne avranno il coraggio, sulla riorganizzazione della macchina amministrativa? Argomento che forse è meglio non affrontare, troppi amici in campo. Chissà cosa diranno sul modello di gestione dell’acqua, quando dovranno confrontarsi con le pressioni delle lobby interessate? Chissà cosa diranno quando dovranno esprimersi sulle questioni della mobilità quando troveranno disegni già consolidati che faranno resistenza al cambiamento? Chissà cosa diranno quando dovranno parlare di Piano di Protezione Civile e Piano Regolatore Generale quando scopriranno che qualcuno li costringerà a seguire l’onda che dal 2008 condiziona ogni cosa?

I candidati dovranno dimostrare la capacità di comprendere le criticità evidenti e quelle sommerse, distinguere gli alleati sinceri dai portatori d’interesse trasversale, dovranno capire, per immaginare una possibile strategia. Insomma per adesso sono al buio e preferiscono restarci. Vediamo di capire chi sono i compagni di viaggio perché qualcuno ha un biglietto ‘open’ e può cambiare la destinazione in qualsiasi momento. Speriamo che qualche candidato non si trovi solo nella carrozza del treno verso il nulla.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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