La notizia è fresca come l’acqua mineralizzata.
L’amministrazione comunale di Paternò ha deciso finalmente di intervenire sulla fontana di Piazza della Regione, con un progetto curato degli stessi uffici comunali. Gli stessi che stanno o hanno elaborato il progetto della nuova fontana di piazza Regina Margherita (i quattro canti), almeno così sembra dai comunicati di questi giorni, pubblicati tra l’altro sui social, nella pagina del Comune.
Serpeggiano già le polemiche sulle modalità dell’iniziativa e sugli obiettivi che si vorrebbero perseguire per restituire alla collettività un’opera d’arte contemporanea, realizzata negli anni ’70, dagli artisti Francesco Contraffatto e Domenico Tudisco. Un’opera di pregio che usa diversi materiali e linguaggi per esprimere il “genius loci” della città. Una narrazione figurata e plastica che determina uno spazio concluso, intimo. Attraverso il mosaico, la scultura e l’architettura, la fontana monumentale esprime l’ingegno artistico, culturale, storico e tecnologico del suo tempo. I pannelli che ospitano i mosaici – riccamente colorati – compongono una quinta teatrale, aperta verso lo spazio urbano e nello stesso tempo introversa.
La visione dell’opera è un’esperienza ricca di sorprese, di scorci, di vedute, che accompagnano il fruitore lungo una peristasi, costringendolo ad uno sguardo dalle distanze variabili, tutto filtrato dall’acqua che nebulizza, nasconde, filtra e illumina.
La tensione spaziale raggiunge il suo apice nelle figure sottili e slanciate delle sculture, in bronzo, metallo che si lascia ruscellare dalla luce e dall’acqua zampillante. Il tessuto che connette le parti è composto da un terzo e prezioso materiale, il calcestruzzo. Contemporaneo, dalle forme plastiche e futuriste alla Antonio Sant’Elia. I mosaici, le sculture e l’architettura, un insieme di parti e materie che diventano unità artistica e architettonica. Un’opera da tutelare e valorizzare, da restaurare per intero cosi come è. E citiamo un brano pubblicato nel 1970 sulla testata Paternò Nuova, che cosi descrive l’opera come «un gioco di acqua, di luci e di colori determinerà l’impressione che questi pannelli e il gruppo bronzeo si elevino in sospensione dall’acqua e che siano in movimento» (fonte: Sebastiano Garifoli).
La fontana, così come si configura, è anche un dispositivo bioclimatico, utile per mitigare i cambiamenti climatici.
La presenza di alberi di ficus – sempre verdi – insieme alla fontana con la sua vasca, rappresenta non solo un’opera d’arte ma un raffinato sistema di origine araba – come per la Zisa di Palermo – che raffresca l’aria nelle calde giornate estive, offrendo un refrigerio a chi la frequenta. La fontana rappresenta la storia della città, dalla sua origine pre-cristiana fino ai giorni nostri. Una storia che ruota intorno all’acqua, alle sue sorgenti, agli dei e a quella vivacità produttiva che è giustamente rappresentata proprio dal palinsesto architettonico che ospita le opere degli artisti Contraffatto e Tudisco.
Per tali ragioni, le preoccupazioni e i dubbi sulla congruenza del programma di manutenzione sono fondate.
Appare superficiale la valutazione sul riconoscimento di valore del bene, che viene stravolto nella sua concezione originaria. Nemmeno le ragioni di tale scelte sembrano convincenti: la pesantezza dell’acqua (semmai risolvibile in altri modi meno dispendiosi), la possibilità di aumentare di pochi metri quadrati lo spazio per gli studenti della scuola elementare (meglio intervenire sulla stabilità della scuola, semmai), il degrado delle parti in calcestruzzo (la pratica del restauro risolve velocemente e definitivamente tale criticità). Insomma, tanto sperpero di denaro – circa 40.000 euro – per rovinare un’opera che merita solo delle cure e non delle amputazioni. Inoltre le soluzioni proposte sono persino più dannose della cura a partire da quel metallo corten che alla fine ruscellerebbe ossido di ferro sui mosaici, rovinandoli per sempre. Ma se il quadro delle conoscenze e il rilievo sono fragili, lo è anche il progetto.
C’è poi la questione della condivisione delle scelte e del confronto con la comunità.
Quella che qualcuno chiama partecipazione. Quella che si sbandiera solo se conviene. Un’opera cosi delicata forse meritava una valutazione più ampia e approfondita, sia sul piano politico che tecnico-artistico, considerando che l’opera rappresenta la comunità.
C’è poi la questione stazione della metropolitana, che forse a causa di una svista, è stata collocata ai margini della stessa fontana mentre andava collocata, come in origine, a piazza Nassiriya, per innescare un processo di rigenerazione urbana, utile a quell’area. Ma siamo ancora in tempo, grazie a Dio. Conviene avvertire la FCE.
Siamo all’inizio di una stagione molto complicata, per le implicazioni di una campagna elettorale alle porte e questo potrebbe disorientare i protagonisti, ma servirebbe – siamo ancora in tempo – una rapida revisione, per evitare la stessa scenetta di qualche mese fa, quando si prefigurava la possibilità di trasformare la chiesa di San Francesco sull’acropoli in una sala di degustazione. Confrontarsi significa avere cura degli interessi della collettività, non è vergogna. Certamente è proprio su questi temi – non solo – che vorremo un confronto serio tra i candidati e vorrei ricordare che sulle fontane cittadine bisogna stare attenti. A Catania, sulla fontana di Tondo Gioeni, il sindaco uscente di allora perse le elezioni a tutto vantaggio del candidato sindaco che si oppose. Serve riflettere, forse conviene anche avviare un concorso d’idee per la fontana dei quattro canti, magari è questa la modalità partecipativa di cui si parla sempre, quella seria. Insomma, sulle fontane di Piazza della Regione e dei Quattro Canti conviene fare un passo indietro, per non scivolare nel dirupo.
Forse bisogna parlare di restauro, previo riconoscimento di valore e qui serve la Soprintendenza, l’Accademia delle belle Arti di Catania e la città con le sue associazioni.
Ma un concetto deve essere chiaro a tutti: la fontana, cioè il gruppo artistico composto dai mosaici, dalle sculture e dalle connessioni di calcestruzzo insieme all’acqua e le luci, è un “unicum” e asportare una sua parte significa compromettere l’unità dell’opera, significa deturpare. E stiamo parlando di restauro e per questo servono gli specialisti.
Resta da chiederci a quando risale l’ultima opera d’arte urbana in questa città? Non vale forse la pena tutelare almeno questa? Le fontane che spariscono sono forse il simbolo di questa città che piano piano scompare.