Bisogna esplorare quel mondo misterioso che è l’adolescenza di oggi. In effetti tale pratica è ricorrente e ciclica ma ogni volta sembra la prima volta.
Come per magia, dimentichiamo facilmente quella che abbiamo vissuto noi stessi. Ci inerpichiamo nei ricordi e non troviamo nulla di simile alla contemporaneità. Vaghiamo come naufraghi tra i nuovi linguaggi e quelle liturgie sociali sconosciute. Il linguaggio parlato, il modo di vestirsi, i corpi che si muovono nello spazio, i messaggini e gli orizzonti. Sono un paesaggio apparentemente nuovo e incomprensibile. Le forme fluttuanti, gli occhi persi nel vuoto e i silenzi senza fine di questa adolescenza ci costringono a stare dentro una bolla d’aria per parlare da soli.
L’orientamento sessuale diventa fluido, i canoni della bellezza stravolti, gli interessi verso il mondo virtuale imbarazzanti, il rapporto con la storia conflittuale e la figura dell’eroe capovolta. Una frattura profonda tra quella generazione post sessantottina – gli ultimi nativi analogici – e i nuovi esseri digitali. Gli adolescenti di oggi sono i figli della crisi delle idee. Sono ragazzi i cui genitori hanno assistito al crollo del muro di Berlino dalla televisione. Sono i figli del “Grande Fratello”, di quella televisione d’evasione che è entrata nelle nostre famiglie e non è più uscita. Quella televisione che ha scavato nelle nostre vite e ne ha fatto un testo drammatico da rappresentare quotidianamente nei salotti delle televisioni.
Non è necessario demonizzare o ricercare nella TV ogni colpa ma approfondire l’incidenza che ha, rispetto alla nostra nuova conformazione culturale, forse sì. Sarebbe sbagliato cercare colpe, cause e malesseri. Ma è necessario individuare le ragioni e le modalità della trasformazione in atto. Alcune evidenti, altre sottese, molte ancora tutte da scoprire. Sono molti gli ambiti di approfondimento e forse è troppo presto per guardarli con un certo distacco scientifico. Ad esempio, per compensare o contrastare i “personalismi” (quelli autoreferenziati) si sono creati i “partecipatismi”; forme nuove di dissipazione della responsabilità. Il Berlusconismo ha sconvolto le regole della comunicazione in molti campi e determinato un “modus operandi” comune ormai a tutti. Basta pensare che non esiste più un logo di partito senza il nome del suo leader (non tutti per adesso). Dall’altra parte il proliferare dei “collettivi”, delle micro lobby che usando un linguaggio diverso sono pur sempre autocelebrativi, come il Berlusconismo che dichiarano di combattere.
Gli adolescenti – i futuri elettori – rimangono indifferenti a queste due tensioni e guardano oltre. Rimangono avvinghiati ad altri modelli, a nuovi eroi e a quella palestra formativa che è la TV digitale on demand – Netflix e le sue sorelle. Mentre i due dinosauri di cui sopra, fanno finta di sbranarsi evocando antiche bandiere ideologiche, gli adolescenti guardano da un’altra parte. La politica diventa l’arte di collezionare ‘like’ e per questo basta urlare, proclamare, incitare le folle e prospettare successi, riconoscimenti, premi e facilitazioni.
L’esenzione dall’andare a scuola – in questo tempo di pandemia – è forse il regalo più desiderato per tanti studenti. Il biglietto gratis per la discoteca ha praticamente lo stesso effetto. Una foto postata su Instagram con una posa sgraziata è la garanzia di un successo certificato da cuoricini ed emoticon. Tutto molto sintetico, minimo, veloce. Tutto in 30 secondi. Tanto basta per fare un video che può diventare virale. Perché il sogno di molti è essere l’autore o il protagonista di un video virale sul web. Apparire divertente, irriverente e un po’ “trash” è utile per i like.
Sul riconoscimento della bellezza c’è tanto da fare in un senso o nell’altro, perché non possiamo essere sicuri di essere oggettivi. Per dire che sei carino si dice “porco”, per dire che sei una personalità, si dice “killer”, per dire che sei importante si dice “escobar”. Gli slang possono andare anche oltre e tutto questo serve a descrivere nuove forme di bellezze. La cosa più interessante è che questo linguaggio rimane sotto traccia dentro la memoria degli telefonini o nel segreto delle conversazioni nei bagni pubblici, tra gli adolescenti.
Una riflessione utile dovrebbe ripartire dalle nuove figure di riferimento.
L’eroe è tramontato a vantaggio dell’antieroe che ha conquistato la scena. Imbroglioni, spacciatori, truffatori, delinquenti e tanto altro, sono i protagonisti delle serie tv più seguite (Rai, Mediaset e La7 resistono a fatica) che propongono queste figure ambigue e contraddittorie. Allora può capitare di sentire che il tipo “tossichello” è una figura iconica desiderata da molti adolescenti (non tutti, per fortuna dico io).
L’uso di questa parola denota l’esigenza dell’addolcimento della figura. Tossico risulterebbe indigeribile, per questo gli anti eroi vengono resi morbidi, accettabili e quindi: impennare con un motorino, essere fermati dai carabinieri, abbandonare la scuola o essere poco eleganti e dai modi rozzi, diventa – almeno per una notte – una nuova forma di bellezza. In pratica questi canoni che “Gomorra” & C. hanno proposto sono diventati l’antagonista vincente di Zorro e Goldrake. Ma la domanda rimane la stessa.
Tutta colpa della TV? Questa generazione di indifferenti alla politica o che hanno usato la politica per scalare e sbranare, oggi che responsabilità hanno? Le colpe non stanno solo da una parte ma una riflessione socio antropologica andrebbe fatta. Senza la paura di ritrovarsi dall’essere giudici all’essere imputati. I genitori sono avvertiti. Gli adolescenti pure come la scuola, la politica e le istituzioni. Serve un nuovo paradigma formativo per canalizzare e governare questo processo. Gli applausi sui social sono finti.