“Don’t look up” è un ‘disaster movie’ che racconta di come la popolazione mondiale reagirebbe, ai nostri giorni, ad una catastrofe naturale.
Disponibile su Netflix dal 24 dicembre e uscito nelle sale cinematografiche a fine novembre, il film di Adam McKay è la storia di due astronomi della Michigan State, Randall Mindy (Leonardo DiCaprio) e Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence), i quali scoprono che una cometa, tra i cinque e i dieci chilometri di diametro, si abbatterà sulla Terra entro sei mesi e quattordici giorni, provocando un’estinzione di massa. Un corpo celeste dalla potenza distruttiva di un miliardo di bombe di Hiroshima, in grado di generare tsunami e terremoti: l’informazione rientra subito nella lista dei segreti di Stato – il dottor Mindy si chiede come dire la verità all’umanità possa costituire reato.
L’incipit parla chiaro:
“basato su fatti realmente possibili”. Non è un film di fantascienza e trova molti riscontri nella realtà che stiamo vivendo. Il cambiamento climatico e la pandemia, conseguenze della devastazione operata dall’uomo, e il negazionismo di chi preferisce, per paura o per prepotenza, affidarsi a un sentire che non si fonda su razionalità scientifiche. Temi che, in maniera diretta o sottesa, rientrano in “Don’t look up” e che hanno convinto Leonardo DiCaprio ad accettare il ruolo – l’attore è un attivista per il clima. Adam McKay, a proposito del dibattito creatosi intorno alla sua opera, twitta: “se non avete almeno un briciolo di ansia sul collasso climatico (o sul fatto che gli USA stiano vacillando) non credo che possiate capire Don’t Look Up.
Sarebbe come se un robot vedesse una storia d’amore.
‘Perché le loro facce sono così vicine?’”. La scelta del cast non è casuale, difatti, anche la coraggiosa protagonista di Hunger Games è un’attivista, impegnata a coinvolgere i giovani in politica e a promuovere governi alternativi e leggi anticorruzione con l’organizzazione americana Rapresente Us. – nel 2018, l’attrice annunciò proprio un anno sabatico dal cinema per dedicarsi all’attivismo politico.
La politica e parte del mondo dell’informazione stanno attraversando una crisi da vuoto di contenuti, che ha, certamente, a che fare con l’etica.
I due astronomi, dopo aver tentato invano di allarmare la Casa Bianca, finiscono ospiti in un ‘morning show’ condotto dalla stravagante Brie Evantee (Kate Blanchett), la quale, contribuendo all’operato dei media di svuotare la notizia della catastrofe dal suo allarmante contenuto, trasforma il tutto in un fatto sociale allegro e spensierato. La comunicazione distorta e disinteressata dei media mitiga una notizia che dovrebbe terrorizzare e destabilizzare e che, se presentata in toni seri, apparirebbe persino noiosa. Un’analisi sarcastica dell’approccio odierno dei media e della politica, i quali stravolgano la scoperta scientifica per trarne un vantaggio, l’una per ottenere uno scoop, l’altra per farne strumento di propaganda elettorale. Inizia uno spettacolo mediatico, del quale i due scienziati sono i protagonisti, e la notizia fa il giro dei social, dove impazzano dei meme sullo sfogo in televisione di Kate – incredula del fatto che un evento così drammatico possa essere preso poco sul serio – e dei post di elogio della bellezza del professor Mindy. Un altro becero contenuto da aggiungere sui vuoti account degli instagramers, che si dichiarano “stressati dalla cometa”.
Per coprire lo scandalo che la travolge e che potrebbe compromettere la sua candidatura, il presidente Janie Orlean (Maryl Streep) utilizzerà la scoperta scientifica per diventare la nuova eroina degli States. Il fatto, in una rappresentazione della politica, diventa estetica pura dell’immagine e del discorso, con tanto di scenari da guerra, carri armati e missioni di salvataggio capitanate dal generale dell’esercito Themes (Paul Guilfoyle), il quale si dice disposto a sacrificare la propria vita per mettere in salvo l’umanità. La cometa, che secondo le stime cadrà sulle coste cilene dell’oceano Atlantico e di cui sarà possibile deviarne la traiettoria con droni dotati di testate nucleari, diventa possibilità di lucro di trilioni di dollari di materiale per la tecnologia. “Ma a cosa serve, se moriremo?”, interroga tutti il dottor Mindy. L’influente sponsor che reggerà in piedi lo show è Peter Isherwell (Mark Rylance), SEO della Bash – azienda che si occupa di intelligenza artificiale e di tecnologia mobile -, uno dei più importanti finanziatori della campagna elettorale della Orlean, che fa quasi paura come l’invasività inquietante della tecnologia nella nostra società. Mindy verrà travolto da questo sistema malato, diventando la star testimonial dello spot che promuove una linea telefonica gratuita per acquietare gli animi di tutti i cittadini, salvo poi leggere in sovraimpressione – in piccolo – che il numero è riservato ai clienti dell’azienda e che i dati verranno utilizzati a fini commerciali.
“Don’t look up” è una chiara denuncia del costante divario tra classi sociali, tra coloro che posseggono i mezzi economici, e di potere dunque, per trarsi in salvo e tra normali cittadini che si abbandoneranno al tragico destino – tra i quali rientreranno anche Randall e Kate.
Ciò che viene messo in evidenza, rispetto ad altri film catastrofisti usciti finora, è il ruolo che i media digitali giocano nel mutamento antropologico in corso, in liaison, come in un vortice, con una politica strategica di mantenimento dell’ordine pubblico, finalizzata a evitare rivolte e a mantenere i consensi. Sembra quasi rievocare la teoria gramsciana dell’ordine politico-sociale, che si fa forza avvalendosi dell’organizzazione della produzione industriale e di una pianificazione sociale. L’elemento sul quale gioca Janie Orlean è la paura, chiamata in causa per motivare gli avvertimenti del professor Mindy e della dottoranda Dibiasky. Messaggio che dai sostenitori del presidente viene subito diffuso sui social, a suon di “vogliono toglierci la libertà” – complottisti stregati?
La scienza viene messa ai margini, sfruttata per fare audience e propaganda, perde credibilità e attendibilità, a favore di una aggressiva e dormiente polarizzazione del pensiero, dove tutto può essere messo in discussione, dove non esistono le fonti attendibili e a vincere è ciò che riesce a fare maggiore presa sulle menti degli individui. Un ritratto fedele di una società assopita, oggi dai social network. Fino alla fine, si spera, in ansia, in un happy ending, ma “Don’t look up” non vuole intrattenere né confortare. Il messaggio è chiaro: bisogna credere alla scienza.