di Alessandro Rapisarda
L’articolo è stato pubblicato dal sito prospettive.eu. Qui di seguito il link:
https://www.prospettive.eu/2022/01/04/dal-camice-bianco-allabito-talare-addio-a-padre-giovanni-raciti-sacerdote-di-frontiera/
La Chiesa di Catania dice addio a padre Giovanni Raciti.
Da primario di Urologia all’ospedale “Garibaldi”, abbandonato il camice bianco, aveva indossato l’abito talare. E lo aveva fatto con un percorso vocazionale carico dell’esperienza familiare. Dopo avere affrontato il dolore per la perdita della moglie Cinzia, da cui aveva avuto due figli (Carmelo e Daniela), ha sentito la “chiamata” del Signore ed è stato ordinato il 16 maggio del 2016. Padre Giovanni Raciti è stato vice parroco della Parrocchia “Resurrezione del Signore”, nel quartiere di Librino. Si è spento dopo un periodo di malattia.
A darne notizia la figlia Daniela che sui social scrive:
«Signore non ti chiediamo perché ce lo hai tolto, ma ti ringraziamo per avercelo dato. I nostri occhi pieni di lacrime sono fissi nei tuoi pieni di luce. Color che amiamo e che abbiamo perduto, non sono più dov’erano, ma sono ovunque noi siamo. Ciao papà, tvb».
Affezionato al santuario dell’Addolorata di Mascalucia dei padri Passionisti che ha frequentato sin da giovane, Raciti ha sempre coltivato con fervore il suo impegno ecclesiale. Con la moglie faceva parte dell’istituto secolare Missionarie della Passione, un istituto di vita consacrata per laici che continuano però la loro vita nel mondo.
«Nel 2000 mia moglie si era ammalata ma aveva superato tutto -raccontava padre Raciti in una intervista al quotidiano La Sicilia del 2017 – dieci anni dopo una ripresa del suo male che il 15 marzo del 2013 ne ha causato la morte. Ho affrettato la mia pensione perché volevo dedicarmi solo a lei e ricordo i quindici giorni passati insieme in ospedale come il periodo più intenso della nostra vita di coppia. Ma la morte è sempre difficile da accettare… Un periodo brutto, pieno di dolore, di rabbia, di frustrazione da marito e da medico. Poi, dopo qualche tempo si fa avanti la vocazione, l’idea del sacerdozio. Che ho scacciato finché ho potuto, credendo fosse una sorta di reazione al dolore. E’ stato il mio direttore spirituale a suggerirmi di assecondare invece quella voce. E così, dopo avere cominciato gli studi di Teologia, ho chiesto un colloquio con l’arcivescovo al quale ho rivelato che cosa mi stava accadendo. Sua Eccellenza ha voluto pensarci su e solo dopo un annetto mi ha dato il suo benestare».