Sempre di fronte alla stessa scuola, stesso istituto tecnico, stesso parcheggio.
Mi ritrovo ancora qui a scrivere per raccontare: per me che ci vivo da 44 anni a scuola, scriverne è quasi naturale, come vivere. Ricordo ancora il mio primo giorno di scuola, camminavo a malapena, un anno o forse poco più, ma c era la necessità di lasciarmi: pur avendo una famiglia numerosa nessuno poteva occuparsi di me al mattino; era assolutamente naturale che di me si preoccupasse la scuola, madre o matrigna che fosse ai miei occhi: in realtà non ricordo, dei primi anni di asilo, nulla di materno se non la mano stretta e raffreddata dal vento di mia madre che silenziosa e triste mi accompagnava costretta a lasciarmi nelle mani di estranei. Solo questo ricordo fino a sei anni e questo è grave perché oggi so che gli anni dell’asilo sarebbero dovuti essere i migliori, la gestazione di un futuro scolastico all’insegna della serenità Ma non è andata così: i miei anni scolastici, come per molti, sono stati contrassegnati da una serie di emozioni spesso negative. Qualche perla c è stata in realtà ed è stata proprio quella perla preziosa, fatta di accoglienza, empatia e disponibilità che mi ha convito a rimanerci a scuola.
Per fortuna esistono insegnanti – donne e uomini – che, attraversando la tua vita, lasciano il segno, ti profumano di esperienza e di relazione, sanno come conquistarti, non si fermano ai numeri, ai programmi, alle carte (o ai registri elettronici), alle medie matematiche, quasi fossimo al supermercato del sapere. Esistono donne e uomini, artigiani della scuola, che imparano il Mestiere, che sanno di non sapere, che non si arrendono al proprio voto di laurea, che riconoscono che non basta sapere di matematica, lettere, inglese, religione per potersi occupare di giovani anime. Occorre imparare ancora e lo si fa mentre si insegna, con umiltà. Ed è così che si diventa ogni giorno insegnanti, ci si affida anche un poco all’istinto, all’arte, alla passione. E poi è tutto così naturale: in fondo se siamo lì a scuola ancora, alla nostra età, un motivo ci sarà, un grande motivo che si chiama vocazione. Non è possibile insegnare solo per lavorare, solo perché la vita non ci ha consentito di meglio, perché, poi, il meglio per un insegnante sono proprio quelle aule, l’odore dei libri sui banchi, il vocìo, i pianti da consolare, le parole da suggerire, le finestre da aprire perché c’è già odore di scarpe di gomma, i colleghi da incrociare e con i quali comprendersi in un attimo o in un tintinnio di campanella perché sei già in ritardo.
A proposito: entro in classe, suona la campana, finisce la ricreazione, è tempo di crescere un’ora ancora.