La geografia, qui si riporta una delle tante definizioni:
“Scienza che ha per oggetto lo studio, la descrizione e la distribuzione dei vari fenomeni della Terra nella configurazione della sua superficie ( g. fisica ) e nella distribuzione spaziale dei vari fenomeni, in quanto connessi con la vita umana ( g. antropica ), con la vita animale e vegetale ( g. biologica ), con la vita delle società umane ( g. politica ), con l’utilizzazione da parte dell’uomo delle risorse del mondo minerale, vegetale e animale ( g. economica )” – costituisce il punto di osservazione utile e necessario, per comprendere la complessità dei sistemi che determinano il nostro habitat.
Attraverso la comprensione della complessità, che significa capacità di individuare le infinite direttrici che generano le trasformazioni e soprattutto nella capacità di narrare tali metabolismi, si esercita l’azione del “pianificare”, individuando strategie e tattiche alle diverse scale; come un’azione profetica, da una parte, e dall’altra come liturgia propiziatoria. Pianificare è in qualche modo un fare magico che ci costringe a vedere il futuro e a vederlo positivamente. Dal cucchiaio alla città, diceva Le Corbusier; pianificare e in qualche modo progettare, è un esercizio di “magia”, come per le pitture rupestri della Preistoria, che rappresentavano, non tanto quello che si possedeva, ma quello che si desiderava (cibo, fertilità, dio).
In questo senso, un certo modo di discretizzare e quindi di analizzare l’ambito della città metropolitana di Catania – mentre si parla di piano strategico – non può prescindere da una narrazione più ampia, che individua i nessi tra il sistema Malta-Siracusa-Agusta-Catania-Messina- Reggio Calabria (dorsale maltese) e la dorsale tunisina (quella che attraversa la Sicilia nord- occidentale), entrambe confluenti nel nodo “stretto di Messina (che poi questo segno è il risultato di una stratificazione millenaria). Il nodo di questa convergenza di flussi rimane permanentemente il vulcano dell’Etna, landmark alla scala geografica e punto nevralgico per le strategie di sviluppo. A questi – sempre coerentemente alla storia – si possono aggiungere la direttrice derivate da Porto Empedocle e Gela che chiudono l’armatura siciliana verso lo Jonio. Quest’ultima è quella che giustifica le attenzioni all’area calatina come estensione dell’area catanese (etnea) che una volta era un vettore fluviale.
Quindi l’azione centrifuga e centripeta del polo Etna è catalizzatrice – antica e moderna – di una porzione di terra lineare che ha sempre assolto le funzioni di “porto” (Malta-Siracusa-Agusta-Catania-Messina- Reggio Calabria) e qui proprio Catania è il baricentro integrato; questa è in qualche modo la ragione della sua crescita esponenziale e persino la causa della sua possibile implosione. Forse Catania è tante Catania. E in quanto cerniera principale, necessità di una “costellazione” che possa costituire il “retro porto”. Uno spazio di supporto e sostegno che renda più poroso il territorio e che si ponga non come competitor ma come partner.
Il tema, quindi, che andrebbe sviluppato è quello del “retro porto, compito che dovrebbero assolvere le città presenti dentro l’area gravitazionale di Catania, anche attraverso un piano di “country front” che si insinua fino a diventare il limite (nel suo significato greco) tra la città metropolitana di Catania e le aree interne, interessate da un fenomeno di necrosi urbana ormai da anni ( a causa delle autostrade A18 e A19). Questo introduce anche il tema della mobilità, strategico per trovare una nuova ecologia complessiva. Aver dismesso alcune tratte ferroviarie, (l’esempio eclatante è l’asse Catania-Motta-Paternò-Regalbuto che necessità di una riattivazione), abbandonate le antiche vie che disegnavano capillarmente il territorio per concentrare tutto sulla città di Catania, costituisce il gap più grave da risolvere. La cura del ferro e gli investimenti sulla mobilità – nuova e di recupero – sono il modo più funzionale per uscire da questa crisi circolatoria che rende asfittiche le città di margine.
Immaginare il territorio come una costellazione – cerniera per le città di Sicilia, per il mediterraneo, per l’Europa significa ristabilire le condizioni di vantaggio per il territorio (opportunità) e svelare una nuova visione complessiva.
La lezione di Siracusa del V-III secolo a.C. è significativa. La forza della grande città Aretusea era determinata anche dalla sua capacità di essere polo di una rete più ampia di città indipendenti tra loro ma funzionali.
Città militari e sacre, commerciali e di produzione. Attraverso investimenti diffusi – come quelli realizzati nella fase delle tirannidi – nell’idraulica, nella mobilità, nell’edilizia pubblica (templi ecc.) Gelone, Ierone, Dionisio ecc. potevano governare, e sviluppare ricchezza, attraverso un decentramento mirato di servizi e infrastrutture, (acquedotto Galermi di Hybla Major) valorizzando le diversità del territorio della Sicilia Orientale.
Quindi la storia, le stratificazioni del paesaggio e la narrazione dei metabolismi, sono il territorio di confronto per condividere scelte più sagge e futuribili.
Pianificare è profetizzare e propiziare.
Attraverso il coinvolgimento di nuove professionalità (Vera Greco 2021), mirando lo sguardo oltre l’ovvio. Una visione simultanea sul piano cartesiano e storico. Ma per fare questo l’architettura, la scala dell’architettura, il progetto di architettura, anche nella sua dimensione urbana-territoriale deve trovare la giusta sede per esercitare le liturgie dell’abitare. L’Etna è non solo un simbolo, una leggenda, un “isolario”, un parco, un vulcano, è essa stessa il simbolo di questa terra e con esso il suo sistema a corona delle sue città, tra queste anche Catania, non solo Catania. E questo territorio circolare, è anche un anello dell’acqua, una terra di confine tra il vulcano e i suoi fiumi: Simeto e Alcantara, che si estende verso altro, verso altri porti.
Se non si riparte da questo paradigma non si potrà comprendere la malattia di cui soffre Catania che come un “buco nero” inghiotte ogni cosa rischiando l’implosione. Sarebbero inutili, a questo punto, gli investimenti nella rete metropolitana se poi colleghiamo dormitori a Catania centro del mondo. Serve rarefazione, porosità, fluidità, attraverso l’ecologia di sistema e non solo quella puntuale. Rischiamo l’obesità patologica per Catania e la bulimia per le sue città nobili: Caltagirone, Acireale e Paternò (Misterbianco è già Catania ovest). Forse una crisi delle istituzioni e delle sue architetture di governo? La soppressione dell’organo intermedio (sul piano politico e delle rappresentanze) è l’infezione da curare?
In questo momento l’Ordine degli Architetti di Catania ha aperto un confronto approfondito per curvare questa anomalia e il workshop “Simeto Landscape” di qualche anno fa è l’inizio di questo dibattito ancora aperto e forse sottovalutato.