Madres paralelas, Almodovar scava nella solitudine di tre madri single: in cerca di radici nel passato franchista

Madres paralelas, Almodovar scava nella solitudine di tre madri single: in cerca di radici nel passato franchista

Ci sono film che ci fanno proprio bene. Bene al cuore e bene alla nostra coscienza, che sono utili alla nostra percezione delle emozioni, dell’io e dell’etica civile.

Madres paralelas, Almodovar scava nella solitudine di tre madri single: in cerca di radici nel passato franchistaUno di questi è Madres paralelas, l’ultimo film di Pedro Almodovar, in concorso alla 79° Mostra del cinema di Venezia, Coppa Volpi come migliore interpretazione femminile a Penelope Cruz.
Dopo Dolor y gloria, film del 2019 dove credevamo che Almodovar avesse superato se stesso, dopo il premio alla carriera ricevuto a Venezia nello stesso anno, il regista spagnolo è riuscito a dare ancora di più, a indagare ancora e in un’altra direzione le pieghe più intime dell’animo umano, di fronte ai sentimenti più forti, ai desideri naturali, ai tormenti e alle angosce dettate da scelte ineluttabili e sorprese che la vita ci pone davanti.

Forse adesso possiamo davvero affermare che c’è un secondo Almodovar, un regista adulto, maturo che ha abbandonato la vena sarcastica e a tratti paradossale della sua gioventù. Da Julieta, film del 2016, in poi la malinconia, il senso della limitatezza dell’uomo, la solitudine e la fragilità che ci accompagna, le delusioni, il successo perduto, tutto questo prevale adesso nelle opere del regista che scrive dei soggetti frutto di un’analisi antropologica e psicologica molto molto attenta.

Un film al femminile, sul femminile, sulla forma più alta e sacra della femminilità, la maternità.

Madres paralelas, Almodovar scava nella solitudine di tre madri single: in cerca di radici nel passato franchistaDue madri, Janis (una fotografa di Madrid) e Ana (adolescente e sola) si incontrano al reparto maternità di un ospedale, stanno vivendo nello stesso momento il travaglio: questo le fa sentire vicine, nella loro solitudine di madri single, nei dolori del parto, nella condivisione di ansie e desideri. Nasce qualcosa di speciale che il destino intreccerà e capovolgerà.
In quanti modi si può essere madri? Cosa può fare l’uomo di fronte al destino? Forse niente, forse tutto.
Può restare schiacciato quando si lascia sconfiggere e non si oppone, o può affrontarlo con tutto il dolore, immenso, che ne consegue e assumersi una responsabilità, che riguarda anche gli altri, le tante altre vite che, nel film, sono legate fra loro perché così uno strano corso degli eventi ha voluto.
Janis sceglie di muovere le pedine e di agire, di sopportare paure e separazioni, si fa forza ma prende la sua forza anche dagli altri, crea una solidarietà fra madri, figlie, nonne, amiche. Ana, apparentemente fragile adolescente smarrita, vittima di uno stupro e di un atto di revenge porn, lentamente diventa forte, attraverso l’esperienza dilaniante del dolore, cresce e reagisce, dimostrando di essere risoluta, pur nella tenerezza.

C’è anche qualcosa di più in questo film, un tema politico che nelle altre pellicole era stato qualche volta sfiorato. Qui è fulcro centrale intorno a cui ruota la vicenda, ne fa parte integrante ed è anche elemento collante dei personaggi e della collettività. Si tratta di un tema ancora oggi scottante nella Spagna del XXI secolo, nella Spagna che è ancora troppo vicina agli anni della dittatura franchista, e non si è del tutto liberata di quell’ombra opprimente perché la storia non ha focalizzato completamente gli eventi, perché troppe tragedie sono rimaste irrisolte, perché mancano tante risposte. La memoria storica è una necessità imprescindibile, il film si occupa anche di aggiungere un piccolo tassello alla ricostruzione di tale memoria. Nei titoli di coda, infatti, una citazione da Edoardo Galeano dice: “Non esiste la storia muta”.

Una domanda atroce riguarda la scomparsa di centinaia di ribelli al regime che i falangisti perseguitarono, rapirono e trucidarono barbaramente senza mai restituirne i corpi. La ricerca di una delle tante fosse comuni che nascondono i resti di quei cadaveri è il motore di una storia che ha i tratti universali della tragedia greca: la maternità sofferta, negata, strappata via, restituita, riscoperta, ha bisogno di affondare le radici nel passato per risolverlo.

Una sottotrama si snoda con una trama principale, si sostituisce a questa per poi ritornare a farsi centrale.

La struttura del film è quella dell’indagine, su un doppio binario, e della ricerca.
Le madri parallele non sono soltanto due ma tante altre: sono le nipoti e le pronipoti che aspettano il recupero dei resti dei loro nonni per restituire una memoria al paese tutto, per permettere alla Spagna di porre fine a una guerra troppo lunga e sanguinosa, per trovare finalmente pace.

Qualcosa sul finale forse Almodovar avrebbe potuto sviluppare di più. Ha voluto affidare l’emozione icastica che fissa l’immagine sulla processione dei vivi (come in un quadro di Pellizza da Volpedo) e la sequenza dei cadaveri come in una Guernica ricomposta: una lieve forzatura affrettata.

Sembra scontato dirlo, ma non lo è affatto, il vero perno della pellicola è la protagonista, Penelope Cruz, musa quasi sempre presente nei film di Almodovar, molto spesso nel ruolo di madre. Porta con sé una bellezza mai sfoggiata, ma naturalmente attinente al personaggio, flessuosa, sensuale e tenace, dolcissima nella maternità, passionale nel sesso, accattivante e intelligente, determinata a scoprire la verità. Tutte le verità, quelle che la riguardano e quelle che riguardano la sua famiglia e il suo paese.

Molto tenera anche Milena Smit nel ruolo di Ana, il personaggio che subisce e gestisce una trasformazione radicale.
Unico personaggio maschile, Arturo (interpretato dal fascinoso Israel Elejalde) che vive una paternità rifiutata, dalla quale scappa all’inizio per poi cercarla, per assumere, anche lui come tutti, una responsabilità necessaria e salvifica.

Esteticamente, al di là dei temi trattati, il film è decisamente bello, con una fotografia (affidata a José Luis Alcaine Escaño) luminosa, dai colori brillanti, sia che si tratti della campagna spagnola come delle strade di Madrid o degli interni, delle cucine con arredi curatissimi e gradevolissimi, i riflessi dei bicchieri colorati, le tazze di porcellana, il cibo preparato con cura, i colori delle tende al sole, quasi a ricordarci che Almodovar ha studiato e amato il cinema italiano, quasi a ricordarci Visconti.

Loredana Pitino

Riguardo l'autore Loredana Pitino

Mater, magistra, mulier. Cresciuta dentro il Teatro Bellini che considerava il suo personale parco giochi. Appassionata di teatro e cinema, un tempo aspirante attrice, affamata di tutto quello che è arte e rappresentazione perché la vita è teatro e possiamo capirla solo con la lente della finzione. Docente maieutica. Malinconica come Pessoa, sognatrice come Fellini, cinica come Flaiano. Sempre in cammino, sempre senza meta. Illuminista, prof-letaria.

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