Il colore della pietra, inzuppata di sangue, scava nelle nostre coscienze.
Ancora una volta, una donna, è straziata nella carne e nell’anima. Non si fa in tempo a stupirsi per un omicidio che le cronache non ne propongono un altro. In ogni luogo, nelle condizioni più diverse, una mattanza senza fine e la terra si tinge ancora di rosso. C’è uno smarrimento, perché ancora oggi, nel mondo, le donne sono sole, contro la ferocia impazzita di “alcuni” uomini senza testa.
Le immagini che consumano la nostra apatia ci ripropongono incessantemente la stessa liturgia dell’orrore: la donna deve sottomettersi – senza limiti – alla frustrazione di “maschi” senza palle. Sgozzate, violentate, smembrate, sepolte, soffocate, sparate, affogate, umiliate nel corpo e nell’anima. Sempre per lo stesso motivo, esercitare la propria supremazia (quella di alcuni uomini) di fronte alla consapevolezza dell’impotenza.
Da secoli abbiamo l’esigenza di recintare la donna dentro uno spazio culturale, senza luce, senza orizzonte. Rimane irrisolto il rapporto tra un uomo e una donna sul piano della rappresentazione. Nelle arti, troviamo dee, ninfe, regine, madonne, sante. Ma la storia ci restituisce tanto altro, streghe, sirene e puttane. Basterebbe esplorare l’infinito mondo dell’arte per rendersi conto di come siamo riusciti a ingabbiare l’immaginario femminile in una prigione senza mura.
Alcune immagini rimangono impresse nella nostra memoria, oggi più che mai.
Donne che fanno la storia. Non di quelle funzionali alle paure maschili ma di quelle donne che sono stelle polari. Le soldatesse Curde, le madri e le figlie dell’Afghanistan, piloti e soldati al femminile che tengono in braccio bambini disperati, le ragazze che hanno detto no alla violenza e per questo pagano il prezzo più alto; quelle che rimangono impigliate nelle macchine dell’industria per poi morire; le donne che hanno deciso di dire basta a un rapporto sentimentale e per questo devono offrire il proprio sangue alla terra. La mitologia antica e moderna è piena di donne che devono sottomettersi, pena la morte.
In tutte quelle pseudo-civiltà in cui l’uomo ha la necessità di oscurare l’altra metà del cielo, di coprire, di nascondere, di eliminare la donna, l’uomo consuma una regressione culturale. Qui non si tratta di idealizzare il mondo femminile ma di prendere atto del suo legittimo valore. La nostra civiltà deve tanto, molto al “femminino” e il semplice fatto che siamo qui a parlarne è già la prova della nostra limitatezza.
Ancora una volta è la storia che ci insegna in un senso o nell’altro.
La storia dell’arte, della scienza, dello sport, dello spettacolo, dell’aeronautica, della politica fino a scoprire quelle piccole storie domestiche – nascoste agli occhi delle telecamere – ricche di eroismi, di gesti miracolosi, di saggezza infinita. Certo la donna è anche portatrice di rivoluzione, qualche volta lo strumento per misurare la nostra stessa forza.
E come esistono uomini sciocchi, nello stesso modo esistono donne sciocche, anche in questo c’è la parità di genere. Ma nessuno autorizza a sopprimere la prova del nostro insuccesso.
Il sesso è uno dei motivi più ricorrenti nelle cronache violente che hanno come protagoniste le donne. Un rifiuto, l’interruzione di un rapporto, il tradimento: tutte opzioni che l’uomo crede di avere in esclusiva. Ma se indaghiamo nelle sacre scritture di ogni religione, scopriamo che la donna è il perno dell’umanità, la rappresentazione figurale della sacralità, dell’umanità. Essere complesso, certe volte misterico, ma prezioso.
Anche nella politica, sono spesso ai margini delle più importanti decisioni.
Ma proprio dalla politica bisogna ripartire. Non si tratta di esercitare il banale dispositivo delle quote rosa ma di aprirsi alla parità di opportunità. Scuola e politica sono i due territori da approfondire e esplorare. Educare alla compresenza. Qualche volta le quote rosa sono persino offensive, quando sono manipolate e strumentalizzate. Bisogna fidarsi delle donne, di quelle in gamba.
Le giornaliste sul fronte, quelle che ogni giorno subiscono attacchi – non sempre fisici – quelle che espongono la propria vita e la propria famiglia a ingiurie e pregiudizi ma vanno avanti. Le soldatesse che muoiono per la libertà e quelle donne afgane che si ribellano e protestano per un frammento di libertà, forse più degli uomini.
Le donne hanno bisogno di protezione per esercitare il diritto alla famiglia, alla gravidanza e all’indipendenza economica. La nostra società deve garantire questi elementi se vuole definirsi civile. Non è una questione di femminismo ma di civiltà e di opportunità.
Ma le pietre sono ancora bagnate di sangue, le storie di quelle donne che hanno dato la vita per la libertà sono urla che squarciano il cielo. In Turchia, a Malta, in Afghanistan, in Cina, ovunque ma anche sotto casa nostra, dietro l’angolo, Bronte, Acicastello, Vicenza, Padova. Ovunque. L’acqua non cancellerà quella macchia di sangue a terra, non seppellirà la voce delle madri, delle figlie, delle mogli che lottano per esistere. La Libertà delle donne, restituisce la libertà e la dignità agli uomini e a tutta l’umanità. Forse dobbiamo ancora una volta guardare dentro la storia per trovare il futuro.