Mario Draghi premier fino al 2023: l’idea del Pd non piace a Salvini

Mario Draghi a Palazzo Chigi "almeno fino al 2023":

Mario Draghi a Palazzo Chigi “almeno fino al 2023”:

l’impegno del Partito democratico in questo senso è totale, ma sembra cozzare contro i piani di Matteo Salvini e della Lega che, già in passato, hanno ipotizzato un futuro sul Colle per l’attuale presidente del Consiglio. Il tema si è riaperto da ieri, quando il segretario Pd ha rimesso sul tavolo la questione della durata del governo, facendola coincidere con quella della legislatura, e del futuro di Mario Draghi, addirittura più in là del 2023, come sembra lasciare intendere quel “almeno” utilizzato da Letta.

“Mi impegno e impegno il mio partito a sostenere Draghi e a essere il nostro primo ministro almeno fino alla scadenza naturale del 2023”, sono le parole pronunciate dal segretario Pd al Meeting di Rimini. Un impegno che desta sospetti nella Lega. Salvini ci vede il tentativo dei dem di “piazzare al Quirinale uno dei loro”. Perchè il Capo dello Stato sarà eletto nel 2022 e, se Draghi rimanesse a Palazzo Chigi, sarebbe gioco forza fuori dalla competizione. “Io traduco il diktat del Pd che Draghi deve restare fino al 2023 nel senso che vogliono che uno del Pd vada al Quirinale”, dice il leader leghista a margine di un incontro coi cittadini nella periferia milanese di Ponte Lambro. “È di pessimo gusto – aggiunge – decidere cosa farà il signor Mario Draghi, sicuramente non è il piccolo Enrico Letta a decidere cosa farà il grande Mario Draghi che deciderà in autonomia e quello che deciderà ce lo comunicherà”.

La partita è dunque aperta.

Lo dimostrano anche le parole di un esponente leghista di rango come il ministro Giancarlo Giorgetti, l’anima moderata e più incline al dialogo nel partito di via Bellerio: “Mario Draghi per fare il Presidente del Consiglio ha bisogno di una maggioranza parlamentare, perché siamo in una democrazia fatta così”, sottolinea Giorgetti. Tradotto: non basta l’impegno del Partito Democratico perché Draghi rimanga a Palazzo Chigi (e fuori dalla corsa al Quirinale), ma è necessaria una maggioranza che, senza la Lega, sarebbe difficile trovare in questo Parlamento.

E poi, “da qui ad allora”, quando il Parlamento sarà chiamato a eleggere il Capo dello Stato, “succederanno tante altre cose”, aggiunge il ministro: “ci saranno le elezioni” amministrative, poi “l’elezione del Presidente della Repubblica e tante altre situazioni. Siamo in una democrazia e una democrazia implica che siano gli elettori a decidere da chi essere governati”. Il riferimento alle elezioni amministrative fatto da Giorgetti non appare scontato nè banale: Salvini e Letta sono da tempo impegnati nella campagna elettorale per le amministrative e le suppletive.

Che il risultato del voto di ottobre abbia un peso specifico importante per i rapporti interni alla maggioranza e al governo è riconosciuto da tutti. Lo stesso Letta, a Ravenna accanto al sindaco Michele de Pascale, ha sottolineato che “n tutta Italia il voto è un voto che avrà una importanza notevole: ricordiamoci cosa accadde nel 2016, un momento in cui gli italiani complessivamente ci sfiduciarono, ci dissero che la strada non era quella giusta”. Se il voto di ottobre dovesse certificare la vittoria della destra, Salvini avrebbe la forza per aprire una nuova crisi di governo? Difficile dirlo oggi che il Pnrr è ancora in attesa di essere concretizzato e con la crisi Afghana che incombe sugli equilibri internazionali.

Inoltre, ci si troverebbe a dover eleggere in Parlamento il quarto esecutivo in quattro anni, con quattro maggioranze diverse e nessuno può dire come gli elettori – anche quelli di destra – reagirebbero a una scelta simile. In attesa che gli scenari si chiariscano, le forze politiche di maggioranza sono alle prese con le richieste incrociate di dimissioni nei confronti del sottosegretario all’Economia, Claudio Durigon, e della ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese. Il primo finito nell’occhio del ciclone per la sua proposta di restituire a un parco pubblico di Latina il nome del fratello di Mussolini, Arnaldo, cancellando quelli di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La seconda è accusata da Matteo Salvini di non gestire il flusso di migranti.
“Se Lamorgese è capace di fare il ministri lo faccia, se ha voglia di fare il ministro lo faccia, altrimenti lasci spazio a qualcun altro”, dice Salvini, annunciando di aver chiesto “a Draghi un incorno a tre con il ministro. Il responsabile di quel che accade in Italia è il ministro dell’Interno. Non si può scaricare il barile”. Enrico Letta difende la responsabile del Viminale: “È profondamente sbagliato mettere zizzania dentro il Governo, soprattutto nei confronti del Ministro degli Interni, che sta facendo un lavoro importante e delicato. Noi la sosteniamo e soprattutto chiediamo serietà, anche a Salvini”. E attacca il leader leghista sulla vicenda Durigon: “Serietà oggi vuol dire una sola cosa: il sottosegretario Durigon deve dimettersi. L’apologia di fascismo è incompatibile con il ruolo di Durigon e, dunque, con la sua presenza al Governo. Credo sia chiaro a tutti”.

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