Il Corriere Etneo ha incontrato Totò Cuffaro nella sua tenuta di San Michele di Ganzaria,
un casale circondato da coltivazioni di fichi d’india e vigneti sterminati, in occasione dell’incontro tra la sua nuova Democrazia Cristiana e Nessuno Tocchi Caino, l’organizzazione internazionale che lotta per l’abolizione della pena di morte e, più in generale, per i diritti dei detenuti.
Presidente, la ‘Balena bianca’ è risorta o si è semplicemente risvegliata da un sopimento che dura da più di 25 anni?
La Balena bianca, che sarebbe meglio definire come Democrazia Cristiana, era materialmente morta ma virtualmente viva. Nel senso che era finito il partito, perché era stato sciolto ed era fuori dai contesti elettorali, però nel cuore e nella coscienza di molti continuava a vivere e a suscitare speranze ed emozioni forti.
È proprio l’aver intuito che c’era ancora quest’emozione che poteva essere tirata fuori che ha alimentato in me la voglia di riportare la DC nel circuito politico. Quando ho cominciato era una semplice speranza, adesso è qualche cosa in più, è una certezza. E quello che per me voleva essere il tentativo di farla rivivere nel cuore degli ultracinquantenni l’avevano conosciuta e votata in passato è diventato qualcosa in più; perché la cosa che ogni giorno di più mi riempie di soddisfazione è vedere che tanti giovani sotto i trent’anni, che non hanno mai conosciuto la DC perché da oltre trent’anni non esiste, hanno sposato questa idea.
Ecco, qual è la vostra idea di famiglia?
Noi siamo contenti che tutti oggi dicano di voler difendere la famiglia, ma noi non vogliamo una famiglia qualsiasi. Vogliamo una famiglia ordinata, in cui dall’amore del padre e della madre possano nascere figli che diventano il tesoro di quell’unione; vogliamo una famiglia che sia consapevole che l’anziano è una risorsa e non è un peso; una famiglia che possa essere soggetto attivo e non soggetto passivo della società e delle istituzioni. Anche la destra difende a parole la famiglia, ma vogliono la loro famiglia. Noi vogliamo, invece, la famiglia anche di quelli che ogni giorno con coraggio e con grande speranza mettono a rischio la propria vita e la vita dei propri figli per andare incontro a una speranza di vita migliore attraversando il mare, rischiando di morire come è già successo e come sta succedendo ancora. Vogliamo difendere anche le famiglie di quelli che sono rimasti fermi davanti ai cavalli di frisia del filo spinato che hanno costruito nell’est dell’Europa. Tutte queste sono famiglie e tutte queste sono persone che vanno valorizzate come come siamo stati valorizzati noi nel passato. Noi siamo un popolo di emigranti e quando andavamo nei paesi in cerca di lavoro venivamo considerati immigrati esattamente come quelli che vengono da noi. Bene, se oggi abbiamo la soddisfazione di poter dire che governatori e sindaci dello stato di New York sono figli di siciliani dobbiamo rifletterci, perchè vuol dire che qualcuno a noi questa possibilità l’ha data, noi vogliamo negarla agli altri?
Nel solco della tradizione ma con un’interpretazione molto attuale, quindi.
Nel solco della tradizione, nella storia, riprendiamo quel filo, ma con la testa e il cuore rivolti al nuovo. Perché ci sono alcune scelte che sono nuove, perché sarebbe anacronistico pensare di difendere vecchie scelte che ha fatto la Democrazia Cristiana, ma che parta da una base forte che è quella del diritto naturale.
Avete un obiettivo elettorale nel breve termine? Presto ci saranno le elezioni amministrative in diversi comuni importanti e il prossimo anno ci saranno le elezioni regionali…
Presenteremo le liste in tutti comuni dove si voterà con il sistema proporzionale ad ottobre, che vanno da Caltagirone che è la patria di Sturzo, a San Cataldo che è quella di Peppino Alessi, a Favara che è quella di Gaspare Ambrosini. Poi ancora Giarre, Adrano, Misterbianco, e Canicattì. Ovunque ci sia il sistema proporzionale ci sarà il simbolo della Democrazia Cristiana. Perché la gente deve avere la possibilità di tornare a votare per un’idea e non per protesta o per rapporto personale. Vogliamo reintrodurre una scelta ideologica nel tessuto elettorale, per questo saremo subito presenti alle amministrative ma con lo sguardo rivolto al prossimo anno dove si voterà al comune di Palermo e per le regionali.
Lo dico chiaramente sin da adesso: noi stiamo lavorando per costruire il Centro che dovrà essere il contenitore di tutti con il quale ci rapporteremo per le elezioni nazionali. Noi alle elezioni regionali presenteremo la nostra lista e il nostro simbolo della DC perché i candidati che noi stiamo mettendo insieme, tutti giovani che dovranno fare esperienza, devono sapere che corrono per poter essere eletti. Se io facessi la lista assieme agli altri dove ci sono già gli uscenti, dove ci sono candidati che hanno già un grande bagaglio elettorale, porterei al massacro le speranze di questi giovani. Invece noi saremo a Catania con 14 candidati che prenderanno pochi voti ma col voto comune riusciranno a conquistare il seggio. Stessa cosa a Palermo, Messina, Agrigento e nelle altre province. Un’idea nuova deve avere una classe dirigente nuova, e una classe dirigente nuova deve avere la possibilità di competere giocavano ad armi pari con tutti i candidati. Non possiamo mettergli davanti un candidato che abbia già una realtà consolidata.
A proposito dell’incontro con Nessuno tocchi Caino, qualcuno potrebbe dire che Cuffaro essendo un pregiudicato che ha avuto un passato da detenuto non dovrebbe per questo partecipare alla vita pubblica o alla vita politica. Cosa risponderebbe a queste persone?
Cuffaro ha avuto un passato di errori che ha pagato con grande dignità, senza sconti. Cuffaro è interdetto dai pubblici uffici e sa perfettamente che non potrà mai più partecipare attivamente alla vita politica ed elettorale. Ma a Cuffaro non è impedito di poter pensare e nemmeno di poter impegnarsi in politica. Io non sono interdetto dal pensiero e non sono nemmeno interdetto dal lavoro per costruire un’idea e un partito che serva agli altri, che serva a difendere la mia storia. Perché chi non ha il coraggio di difendere la propria storia non avrà la forza di costruire il proprio futuro. Quindi ti ringrazio per la domanda e voglio dire con grande forza e con grande lealtà che io non sono più candidato a niente, non lo sono perché sono interdetto, non lo sono per scelta, perché so che se anche io potessi essere candidato la mia condanna ha un valore etico per me. E quel valore etico rimarrebbe anche se mi dessero la possibilità di poter godere dei miei diritti e mi imporrebbe di non poter riportare mai più la mia persona al consenso degli elettori. Ma questo non vuol dire che io non possa lavorare per costruire un progetto di bene comune. Perché è politica tutto quello che contribuisce a un progetto di bene comune.
Avete già pensato a un candidato alla presidenza della Regione?
Assieme a oltre 450 donne della nuova Democrazia Cristiana abbiamo lanciato l’idea di un Presidente della Regione donna. Noi abbiamo lanciato l’idea che la Sicilia sia matura per avere la candidatura di una donna. Non abbiamo la presunzione di dire che abbiamo una donna pronta per una candidatura, però abbiamo la consapevolezza che ci sia la necessità di umanizzare la politica e vogliamo affidare questo tratto di umanizzazione a una donna.
Il contatto fisico è sempre stato una costante nel rapporto con i suoi amici (o compagni?) di partito ed elettori, ma la pandemia l’ha privata del vasa-vasa… quanto le manca?
Intanto vorrei dirti che l’idea di chiamarsi compagni è un’idea bellissima. Io l’ho vissuta nei miei lunghi anni di detenzione, 1758 giorni, l’idea di avere i “compagni di carcere”. Mi ha dato forza e solidarietà. In carcere si è compagni: di sofferenza, di dolore, di speranza, di futuro, di fiducia. Quindi se mi dovesse chiamare compagno non la prenderei per un’offesa, anzi, per una cosa gradita. I democristiani normalmente si chiamano amici, ma la parola amici e compagni ha un grande afflato nel poter e nel voler stare insieme.
È chiaro che se dovesse esserci un’elezione regionale dove io fossi candidato, circostanza assolutamente improbabile, certamente sarebbe complicato che io possa riprendere i miei consensi elettorali. Mi verrebbe meno l’arma più forte che ho che è quella del bacio, della possibilità di stringere, abbracciare, donare disponibilità e affetto. Qualcuno l’altro giorno mi ricordava l’epiteto di “cuffarismo” coniato da un professore universitario che non c’è più e che ricordo con affetto. Oggi probabilmente quel professore parlerebbe di “cuffaresimo”, non più di “cuffarismo”. Il cuffaresimo è la capacità di stare in mezzo alla gente, di vivere una comunità perché la politica insegna elementi di comunità importanti. La politica ti dà tanti sacrifici, ma tu sai che la sera, una volta tornato a casa, ti sei arricchito umanamente perché ognuna delle persone che hai abbracciato, baciato, o in tempi di Covid salutato a distanza, ti ha lasciato qualcosa e questo qualcosa farà parte per sempre della tua vita.
Collegandomi a quello che ha detto prima riguardo all’interdizione. Secondo lei è in linea con il principi costituzionali della funzione rieducativa della pena e del reinserimento sociale del condannato il fatto che esista l’interdizione dai pubblici uffici?
Assolutamente no. È una delle tante incongruenze del nostro diritto. La pena non è un castigo, la costituzione prevede che la pena venga assolta dal detenuto come processo di rieducazione e risocializzazione. Se una persona è andata in carcere e si è rieducata e risocializzata, che senso ha continuare a lasciargli un residuo di pena? Ma dico di più, che senso ha dire che può tornare a svolgere i suoi compiti nella società, perché si parla di risocializzazione, se poi gli impediscono di tornare a fare il lavoro che faceva prima della condanna? Io facevo il medico, adesso non posso più farlo perché essendo interdetto non posso iscrivermi all’albo. Ed è bene precisare che il mio non era un reato legato alla professione. Questa è una delle tante incongruenze del nostro diritto che secondo me andrebbe rivista perché bisogna dare la possibilità concreta alle persone che hanno maturato un senso di rieducazione di continuare a vivere dignitosamente per loro e per le loro famiglie. Non può lo Stato continuare a comportarsi così, perché sennò poi la gente cosa deve fare? Deve tornare a delinquere? È come quando noi chiediamo a un detenuto che è all’ergastolo di risocializzarsi. Ma perché mai dovrebbe risocializzarsi una persona che dovrà rimanere per tutta la vita dentro il carcere? Sembra più una presa per i fondelli che risocializzazione. L’ergastolo, specialmente quello ostativo, andrebbe rivisto perché se uno è pentito e ha scontato un pentimento serio, anche se alla fine della sua vita, deve avere la possibilità di essere un uomo utile alla società e alla sua famiglia. Per questo sono contrario all’ergastolo così come è concepito oggi in Italia.
Queste sono le incongruenze che insieme ai radicali stiamo combattendo con forza, affinché anche in Italia posso essere rivista la legislazione sull’ergastolo e soprattutto sulla interdizione. E quando dico rivista, rispetto all’ergastolo, dico seriamente. Perché non si può dire abbiamo tolto l’ergastolo se nel certificato penale c’è scritto fine pena 9999. Vorrebbe dire che se uno riuscisse a campare 10.000 anni forse riuscirebbe a tornare in libertà. Questa è la realtà. Bisogna essere sotto questo punto di vista uno Stato che guarda ai suoi figli con grande attenzione, soprattutto quelli che hanno sbagliato.