161 anni sono passati dal giorno in cui scoppiarono a Bronte quelli che oggi vengono ricordati come “I fatti di Bronte del 1860”.
Giorno 11 Maggio 1860 ebbe inizio lo sbarco dei Mille nello storico porto chiamato dagli Arabi “Marsa-Ali” e ora Marsala.
Durante l’impresa dei Mille, Garibaldi aveva promesso ai contadini la distribuzione delle terre pubbliche che però non ebbero mai poichè questa promessa non venne rispettata. Le conseguenze comportarono numerosi saccheggi e soprusi da parte dei contadini nei confronti degli amministratori e dei possidenti (soprannominati cappelli, in antitesi agli uomini del popolo che usavano come copricapo i berretti).
La popolazione brontese, tra il XV e il XVIII secolo, vide il proprio territorio in balia di più contendenti, fin quando fu definitivamente trasferito prima all’Ospedale Maggior di Palermo e nel 1799 ai Nelson da parte dei Borboni.
Lunghi secoli di contesa tra l’Ospedale, i Nelson e il Comune per il territorio di Bronte avevano caratterizzato quell’epoca e in quel perenne stato di vassallaggio, chi aveva sempre la peggio era la popolazione brontese che ne usciva danneggiata e sconfitta, ma bramoso di vendetta.
Così come racconta lo storico Benedetto Radice, tutto ciò portò allo scoppio della rivoluzione del 1860 che ebbe inizio la sera del 29 luglio con una grande e lugubre serenata. Un gruppo di ragazzi, con torce accese, andavano per le vie del paese, portando una bara sotto le case dei Borboniani, gridando e lamentandosi.
La mattina dell’1 agosto continuarono le dimostrazioni e le grida. La sera furono occupati i posti di Salice, S. Antonino, Zottofondo, Scialandro, Catena, Colla, Camposanto, S. Vito, Sciarone Lo Vecchio.
Verso le ore 5 della notte si sentirono tocchi di campane dal campanile di S. Antonino e della Madonna del Riparo, qualche fucilata e fischi.
Durante la notte il paese era in subbuglio: un continuo via vai per le stradine del paese, grida e schiamazzi. I civili più ricchi o aiutati da terze persone, presi dal terrore, riuscirono a fuggire.
La mattina del 2 agosto il paese si trovò militarmente assediato da ogni parte e i rivoltosi avevano invaso le strade, saccheggiando, incendiando e uccidendo.
Il 5 Agosto arrivò a Bronte una compagnia di soldati e la folla cominciò a placarsi.
Il Comitato di guerra decise di inviare a Bronte un battaglione di garibaldini agli ordini di Nino Bixio per sedare la rivolta. La sentenza venne eseguita mediante fucilazione: i capi rivoltosi furono fucilati nella piazza di San Vito e i loro corpi lasciati esposti per ammonizione.
Dietro questo massacro vi erano una brama secolare di terre, un odio mai sepolto, abusi mai dimenticati, un’estrema povertà, ma anche desiderio di libertà e impazienza di fronte a quella che appariva la brillante azione di Garibaldi con le sue promesse fatte ai contadini, quasi tutti poveri braccianti, ansiosi di riappropriarsi dei demani e anche dell’immenso patrimonio terriero che per due volte era stato usurpato in quattro secoli dall’Ospedale di Palermo e dall’ammiraglio Nelson.
Bronte è finita per diventare, così, simbolo della lotta di classe tra contadini e proprietari, soffocata nel sangue dai garibaldini per ingraziarsi l’Inghilterra.
Alla fine tutto tornò come prima. I “signori” al loro posto e i contadini sempre più poveri, con la fine delle loro illusioni, la scoperta dell’inganno subìto e la presa di coscienza dell’inutilità del tentativo, come emerge dalle parole del carbonaio che concludono la novella “Libertà” di Verga.
Il carbonaio, mentre gli mettevano le manette, balbettava: “Dove mi conducete? – In galera? – O perché? Non mi è toccato neppure un palmo di terra! Se avevano detto che c’era la libertà!”.