In questi mesi si discute del Piano Strategico della Città Metropolitana di Catania.
La regia dell’elaborazione di questo strumento di programmazione è stata affidata al prestigioso gruppo Ambrosetti di Milano, che ha organizzato già due incontri con gli attori del territorio, per sentire e misurare i bisogni e le necessità, in chiave strategica, dell’ex Provincia regionale di Catania. Dalle dichiarazioni ufficiali emerge che già ad ottobre saranno presentati i risultati di questo lavoro, che prevede un disegno programmatorio, proiettato per i prossimi trent’anni, che inciderà sulle scelte politiche, economiche, culturali e produttive di molte città che stanno dentro la città metropolitana.
A dire il vero si discute anche del piano della mobilità della stessa Città Metropolitana, ma questa è un’altra storia e già questa affermazione la dice lunga sulla operatività di tali sforzi progettuali.
Alcune riflessioni preliminari sono necessarie per meglio inquadrare il tema che Ambrosetti sta sviluppando.
La definizione di città metropolitana, il suo limite, la consistenza e le relazioni con le aderenze geografiche sono aspetti che andrebbero approfonditi per evitare la più classica delle anomalie, quella di considerare la città metropolitana di Catania coincidente con la stessa città di Catania. Il tema del limite è complesso e le riforme sulle province regionali hanno reso tutto più complicato. Il baricentro principale è certamente l’Etna con le sue urbanità radiali, i suoi fiumi Simeto e Alcantara, la sua costa (che andrebbe ri-pensata da Taormina-Naxos fino Catania); in questo senso l’area del Calatino è un’appendice amministrativa che forzatamente vive una condizione di periferia, costretta a rinunciare alla sua vocazione di baricentro di un territorio “diverso”. La rete infrastrutturale, che avrebbe il compito di sostenere la natura metropolitana di questo territorio, dovrebbe essere una priorità strategica, anche attraverso il suo potenziamento – che in parte è già in cantiere. Ma non basta adagiarsi alla letteratura consolidata, serve andare oltre e prefigurare un modello nuovo che realizzi policentralità diffuse, attraverso il potenziamento delle cerniere territoriali come Acireale e Paternò; due distretti con compiti diversi.
Serve anche la consapevolezza che il nodo di fondo è che la città di levante – un modello prefigurato qualche anno fa – è l’asse urbano e infrastrutturale su cui dovrebbero innestarsi le strategie alla scala geografica che guardano il mediterraneo (da Malta a Reggio Calabria passando proprio per il nodo Etna, che consideriamo il paesaggio di riferimento della città metropolitana). Quindi perimetro, relazioni e baricentri diffusi, questo modello interpretativo serve per definire strategie più efficienti. La mobilità di progetto del futuro presente è una priorità: pensiamo solo alla linea Bicocca-Motta-Paternò -attualmente dismessa – che potrebbe riattivare processi rigenerativi più diffusi. E di questi aspetti dovrebbe interessarsi il piano metropolitano per guardare lontano.
Una questione importante è l’esaustività del quadro delle conoscenze e delle risorse.
Una mappatura filtrata e parziale potrebbe falsare i risultati definitivi del piano in elaborazione. Sottovalutare le polarità economiche, culturali, patrimoniali dell’intero sistema metropolitano, senza la descrizione di un modello interpretativo reale, può compromettere l’intero piano. Il rischio che il modello usato sia Catania-centrico (per ovvi motivi) è altissimo e lo dimostra la scarsa partecipazione degli organi politici periferici e dello stesso associazionismo (impegnato a difendere riserve e recinti). Il modello della costellazione delle poliperiferie diffuse, raccordate dalla risorsa naturalistica patrimonio dell’Unesco, l’Etna e i suoi due fiumi – Simeto e Alcantara – che ne determinano la forma di anello dell’acqua è quello a cui andrebbe fatto riferimento. Ma mentre discutiamo, la regione Sicilia concentra su Catania ogni investimento strutturale, desertificando le centralità periferiche. A dimostrazione di uno squilibrio complessivo. Andrebbe rivista questa strategia, perché non è coerente con gli investimenti sulla rete della mobilità metropolitana.
Ma chi sono gli attori di questo processo?
Oltre Ambrosetti, che cura la regia, dovrebbero essere coinvolti tutti i sindaci, non solo quello di Catania o i pochi presenti agli incontri; serve coinvolgere le comunità, attraverso forum, call, incontri ‘one to one’, questionari e mostre. Perché la modalità di coinvolgimento deve essere concreta, veloce ed e diffusa, evitando le rendite di posizione consolidate. Perché gli enti istituzionali – spesso – per pigrizia intellettuale, forniscono modelli e conoscenze già obsolete, frutto di ricerche ormai superate, che individuavano sistemi di governance e programmi, qualche volta “lobbizzati” (ambiente, cultura, industria, servizi, faccendieri, ecc.).
Il quadro politico è complesso, la Regione Siciliana dovrebbe fare uno sforzo normativo di fine mandato per ricomporre questo strappo. Serve un presidente della città metropolitana eletto da tutti i cittadini, una diversa perimetrazione, un consiglio politico, rappresentativo e proporzionale della città che stanno dentro l’area metropolitana, l’assunzione di responsabilità sui temi della formazione, della pianificazione, delle infrastrutture, della sanità e dei rifiuti, della gestione delle risorse energetiche ed idriche e della mobilità pubblica, tanto per cominciare.
Serve, per immaginare la città nei prossimi trent’anni, una visione innovativa, non la conferma di strategie già fallite. Serve coraggio, creatività, capacità di determinare un’ecologia di sistema, rafforzando le costellazioni, le periferie (non di Catania, ma della città metropolitana), le immense risorse culturali, archeologiche, naturalistiche diffuse evitando le concentrazioni che provocherebbe le implosioni e il sovraffollamento che oggi vive drammaticamente Catania. Catania muore, se continua ad accentrare a se ogni cosa. Deve diventare porosa, fluida, connessa con le sue ramificazioni urbane per rafforzare l’anello dell’acqua (Simeto e Alcantara); forse deve trovare nella sua storia più antica, le ragioni che stanno alla base della sua morfogenesi. Forse andrebbero studiati i modelli storici che hanno stratificato il paesaggio etneo per trovare la soluzione possibile.
Ambrosetti ha una grossa responsabilità ma la politica regionale e provinciale pure, compreso i sindaci assenti e indifferenti. Si sta giocando una partita epocale e nessuno può far finta di niente. Lo dobbiamo ai nostri figli. Ancora la partita è aperta ma serve giocare tutti insieme. Un piano strategico metropolitano che non riesce a guardare oltre, che non riesce a sentire tutti, che si limita all’ordinario consolidato rischia di essere solo un documento di rito da aggiungere alla collezione dei piani sulla carta. Per l’investimento profuso sarebbe un peccato oltre che uno spreco. Forse allineare un nuovo quadro delle conoscenze e i vari piani sarebbe un buon inizio, ma serve ascoltare meglio, tutti e avere il coraggio di osare.