L’accordo sulla riforma penale c’è. Con il sì dei 5 stelle.
E l’approdo in Aula slitta a domenica pomeriggio. Arriva in extremis, al termine di una lunghissima giornata di trattative, stop and go e minacce di far saltare il banco. Il premier Mario Draghi, in stretto raccordo con la Guardasigilli Marta Cartabia, ha cercato fino all’ultimo l’intesa, mettendo in campo una mediazione tra le varie posizioni – a tratti anche lontanissime – con i veti incrociati delle forze politiche che in alcuni momenti hanno rischiato di bloccare la riforma. Ma la linea del premier, viene raccontato da più fonti di maggioranza, non ha mai derogato dalla ribadita necessità di approvare almeno in prima lettura il ddl penale prima della pausa estiva. Una garanzia data a Bruxelles, nell’ambito delle scadenze del Pnrr.
Chiedendo responsabilità e un piccolo passo indietro a tutti i protagonisti. Ma appunto rimarcando che l’impegno andava mantenuto. E di fatti, mentre la trattativa sembrava essersi impantanata, alla Camera già si ipotizzavano le due opzioni in campo: riforma in Aula con accordo politico blindato, o riforma in Aula, nel testo originario del ddl Bonafede, senza intesa e con un emendamento del governo contenente le prime modifiche a firma Cartabia, e chi ci sta ci sta. Poi lo sblocco dell’impasse – incentrato essenzialmente sui processi per mafia – e l’intesa. Imprescrittibili, e quindi esclusi dal meccanismo dell’improcedibilità, i reati di mafia e terrorismo, regime speciale per quelli con aggravante mafiosa. In particolare, per le aggravanti di mafia sarebbe previsto, fino al 2024, un termine di 6 anni in appello, mentre dal 2025 tale termine sarebbe fissato in 5 anni. Passa, quindi, anche il cosiddetto ‘lodo Serracchiani’ sulla norma transitoria. E proprio dal Pd rivendicano il lavoro di mediazione portato avanti in Cdm dagli esponenti dem.
Più volte rinviato e sospeso, dunque, il Consiglio dei ministri ha alla fine dato il via libera unanime alle modifiche da apportare al testo del provvedimento con il placet del Movimento 5 stelle. Un si’ ‘sofferto’, viene spiegato, tanto che il leader in pectore Giuseppe Conte tiene a precisare:
“Non e’ la nostra riforma ma abbiamo lavorato per dare un contributo a migliorarla”.
Del resto, fino a poco prima del via libera in Cdm, dai 5 stelle filtrava insoddisfazione per i contenuti della prima bozza di modifica. E gia’ c’era chi ipotizzava l’astensione in Cdm e non veniva esclusa nemmeno in Aula, dove il governo resta intenzionato a porre la fiducia. Contemporaneamente alla febbrile trattativa che si stava conducendo a palazzo Chigi, alla Camera la commissione Giustizia e’ rimasta ‘congelata’, in attesa di capire se l’intesa sarebbe arrivata o meno. Il presidente Mario Perantoni, di fronte alla “oggettiva impossibilita’ e difficoltà” a proseguire l’esame del provvedimento, ha quindi scritto al presidente Roberto Fico, rimettendo nelle mani della conferenza dei capigruppo – a sua volta sospesa e riaggiornata a dopo il Cdm – la decisione sui tempi dell’esame in Aula: venerdì, come prevedeva il calendario iniziale, è impossibile avviare la discussione generale, il senso delle osservazioni del presidente Perantoni.
Ed infatti, già nella prima parte della riunione della capigruppo si e’ ipotizzato di far slittare l’approdo in Aula a domenica. Data poi confermata ufficialmente: dalle 14 il ddl penale sarà in Aula, poi si voterà la questione pregiudiziale di Alternativa c’è. La sera stessa, viene spiegato da fonti di maggioranza, il governo dovrebbe porre la fiducia, per votarla lunedì sera. Poi martedì il voto finale sul provvedimento. La commissione si riunirà domani mattina, tempi tecnici per ricevere il testo delle modifiche, poi si procederà con l’esame nel merito: le forze di maggioranza ritireranno tutti gli emendamenti, ad eccezione di quelli concordati. Ma tra domani e al massimo sabato la commissione dovrebbe licenziare il testo per l’Aula.