Il killer dell’insinuazione: il chiacchiericcio malevolo che nasconde le nostre debolezze

Il killer dell’insinuazione: il chiacchiericcio malevolo che nasconde le nostre debolezze

Ci sono tanti modi per uccidere qualcuno, tante modalità che non sempre corrispondono all’idea che ci siamo fatti di omicidio: violento, pieno di sangue e rumoroso.

In tutte le culture in ogni tempo l’uomo ha un comandamento fondamentale: non uccidere. Per il regno animale funziona diversamente, si uccide per necessità, per sopravvivenza. Ma gli uomini sono molto raffinati, sofisticati, qualche volta creativi oltre misura, oltre a uccidere per alimentarsi (e qualche volta si esagera pure qui) e per conquistare nuovi mercati (non parlatemi di guerre religiose e civiche), l’uomo si dedica a una più elegante forma di omicidio: insinuare. Allora in molti dovranno confessare questo peccato sotto la voce: non uccidere.

Quel chiacchiericcio insinuante che scivola tra le bocche della gente.

Il killer dell’insinuazione: il chiacchiericcio malevolo che nasconde le nostre debolezzeQuei sussurri leggeri che si concludono sempre con un interrogativo possibilista. Quei sorrisi amari, fatti storcendo la bocca mentre si allargano le braccia. Ombre scure e cieli tempestosi sulla testa dei nostri “vicini di casa”. Omicidi silenziosi, asciutti, statici, quasi invisibili. Omicidi sperati, attesi, incoraggiati da quegli ignavi che scrutano continuamente le vite altrui. “Io lo dicevo” sono le prime sentenze dopo la pioggia oppure “tu non sai quello che so io ma che non posso dirti…” basta solo questo.

La nostra società è piena di ‘killer’ in questo senso, piena di cultori del chiacchiericcio che usano la parola come arma per discriminare, isolare, giudicare e condannare chiunque si ponga di fronte al proprio interesse. Basta un solo sorriso storto, una battuta, il rimando a misteri antichi sconosciuti, l’allusione a qualcosa (senza mai entrare nel merito), una mezza verità (magari invertendo i tempi della narrazione tra causa ed effetto). Un’arte, quella dell’insinuazione, alla quale spesso tutti noi prima o poi facciamo appello. Nessuno è esente, proprio nessuno. Certo ci sono quelli che la usano per difesa, quelli che lo fanno perché stupidi e poi ci sono i killer: quelli che pianificano tutto, organizzano ogni cosa, fino a puntare l’arma contro chiunque gli faccia antipatia.

Servono contatti, una certa credibilità, una particolare capillarità dell’azione, costante nel tempo. Servono piccoli dettagli, poche parole estrapolate da un discorso più ampio (tanto non è facile verificare). Servono strategie, obiettivi precisi, temi per cui la comunità è sensibile. Non importa la vita delle vittime (che diventano carnefici senza saperlo), la loro storia, il lavoro che svolgono, le loro debolezze e le tante fragilità, non importa, basta solo ucciderle fino a vederne la sepoltura senza che poi si possa capire il perché.

Allora si circondano gli amici della vittima con un gorgoglio di nefandezze, pressandoli giornalmente per destabilizzare i rapporti umani tra le parti. Una guerra infinita che non risparmia nessuno e costringe molti a difendersi senza sapere nemmeno da chi, da cosa ma soprattutto perché.
Escono fuori ricordi improbabili, foto interpretabili, screenshot monchi, audio parziali e lettere anonime. Un arsenale di armi bianche ma sporche. Sporche di infamia, di cattiveria. Perché bisogna chiamare le cose con il giusto nome: cattiveria.

Il killer dell’insinuazione: il chiacchiericcio malevolo che nasconde le nostre debolezzeDa cosa dipende? Perché abbiamo questa tendenza? Credo che alla base ci sia l’insoddisfazione, la non accettazione di sé, forse persino troppo tempo libero, una collezione di fallimenti, l’idea che tutti sono nostri nemici, uno scenario di obiettivi confuso, forse persino la sopravvalutazione del valore delle nostre vittime. Forse anche una storia difficile sul piano personale che riversiamo su gli altri ritenendoli colpevoli inconsapevoli delle nostre tragedie.

Tanti i campi di applicazione di questo rituale. In politica, nei luoghi di lavoro, nell’associazionismo, nelle comunità religiose e culturali. Invidia, narcisismo, ignavia. Tutto concorre a determinare un ambiente pesante, ostile e inquinato.
Poi a conclusione di questa fase sottovoce arrivano i giudici, le sentenze, la Cassazione, la condanna, ovviamente senza appello. Perché nessuno chiede ai malcapitati, si decide automaticamente sulla pena come se non aspettavamo altro. Noi sapevamo tutto nel nostro inconscio, cercavamo solo la conferma della piazza e quel sussurro infame è la conferma della nostra limpidezza. La verità è che noi vediamo negli altri le nostre stesse debolezze e ci rincuora che siano proprio gli altri a pagare per noi. Come se avessimo spostato oltre quello che ci appartiene e questo ci salva provvisoriamente nella speranza di non essere mai coinvolti personalmente, meglio gli altri, a noi il compito nobile di commentare le altrui disgrazie e le tragiche conseguenze.

Quante volte ci siamo sentiti al sicuro? Lontani da ogni pericolo. Sicuri che noi non saremo mai intaccati dalla diffamazione. Non resta che augurarsi che questa gente (killer) cominci a guardarsi dentro invece che cercarsi fuori. La libertà di espressione, di pensiero, di orientamento sessuale, di culto deve essere un diritto di tutti, diffuso e difeso.

Il chiacchiericcio (diceva Papa Francesco) “è una peste più brutta del Covid”. Quindi coltivare “la pedagogia del recupero, non l’accusa o la condanna”. E chissà se tutti quelli che si proclamo al di sopra delle parti, possono scagliare pietre per primi. Non basta frequentare i luoghi santi per essere santi, per esserlo bisogna giudicare meno e comprendere di più se stessi e gli altri. Serve pulizia e non pozzi inquinati.

Il killer dell’insinuazione: il chiacchiericcio malevolo che nasconde le nostre debolezze

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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