Le temperature di questi giorni sono asfissianti.
Oltre i quaranta gradi con livelli di umidità relativa schizzati oltre misura. La città diventa un inferno, l’aria ferma, l’asfalto bollente e i rondoni che piovono come polpette dal cielo.
Balconi, strade e marciapiedi sono un cimitero di uccelli esausti, le temperature diventano impossibili e scatta l’allarme rosso della Protezione Civile. Caldo africano, terra del Sahara e dell’Etna che copre ogni cosa, un mix micidiale che oscura il sole con una cappa asfissiante.
A rendere tutto più infernale anche alcuni blackout nella fornitura elettrica e ovviamente gli incendi, dolosi e non. Uno scenario apocalittico che mette sotto stress il genere umano, tutte le forme viventi e mette ancora una volta in discussione il nostro modello di vita su questo pianeta.
La città è il luogo più fragile di questo ecosistema e le sue anomalie incidono negativamente anche nello spazio rurale e naturale.
La città è forse una delle maggiori cause di questo dramma ambientale, assieme alle aree produttive intensive. Emissioni di anidride carbonica (residenziale, industriale e della mobilità), surriscaldamento globale e desertificazione. Sono le concause che incidono in maniera determinante al cambiamento climatico e comunque all’amplificazione dei suoi effetti nell’immediato.
Per questo bisogna ripartire dalle politiche urbane, dalle strategie ecologiche a medio e lungo termine, dalla messa in opere di tutti i dispositivi ambientali e tecnologici per controllare e minimizzare questo fenomeno che incide anche nelle tasche dei cittadini in maniera determinante. Le bollette energetiche – pubbliche e private – schizzano alle stelle e l’alternativa è non uscire di casa o peggio ancora a vivere nell’inferno estivo. I più fortunati conquistano le acque fresche del mare o la vetta delle montagne ma in quanti possono permettersi tutto questo? Chi abita le città ha bisogno di soluzioni personali e collettive.
Ovviamente da anni si propongono le solite ricette che stanno diventando solo sterile letteratura di ambientalisti e di professionisti dell’ecologia, ogni tanto cavalcate da politici green, spesso molto radical chic. Sono tante le formule proposte, da quelle tradizionali a quelle più innovative e tecnologiche ma nella sostanza basterebbe puntare su pochi sistemi e di facile realizzazione.
Piantare alberi, rendere permeabili i suoli, riconvertire gli organismi architettonici, e quindi la città, verso sistemi di climatizzazione di tipo passivo, puntare sui mezzi pubblici per il trasporto, consumare meno i suoli, governare con più attenzione le risorse idriche e puntare alla produzione di energia pulita. Nulla di nuovo sotto il sole, tutto oggetto di programmi già avviati ma nella pratica ancora siamo in alto mare.
Piantare alberi non significa mettere a dimora un albero simbolicamente ogni sei mesi, ma agire con una massiccia azione di piantumazione – di essenze utili allo scopo – in ogni parte della città, lungo le strade, nei terreni incolti, nelle piazze, ovunque e immediatamente in forma diffusa. Forse sarebbe necessario creare un organismo di governo ad hoc in ogni città, una banca dati e incentivi per chi mette a dimora alberi, come per esempio è previsto nel regolamento edilizio di Catania. Alberi, raccolta delle acque piovane, riserve idriche, riutilizzo delle acque domestiche. Sono solo alcuni dei dispositivi ecologici da incentivare. Concretamente in ogni casa, in ogni edificio pubblico e qui gli esempi più autorevoli vengono dalla storia delle città e dell’architettura.
Ma serve rendere più permeabili i suoli anche trasformando gli esistenti.
Sostituire cemento, asfalto e mattoni che ricoprono molte pertinenze residenziali e produttive con terra vegetale, ghiaietto e sistemi drenanti. Basterebbe già questo per diminuire i rischi idrologici e abbassare di uno-due gradi la temperatura urbana. Serve anche incentivare l’uso dei sistemi passivi nelle nuove realizzazioni o nella riconfigurazione del patrimonio edilizio esistente. Ventilazione naturale, isolamenti con materiali naturali (canna palustre per esempio), pareti ventilate, camini termici, riducendo l’uso dei condizionatori con quelle brutte macchine appese alle pareti della città.
Stesso discorso per la mobilità incentivando nell’immediato tutte quelle formule che fanno diminuire l’uso del mezzo privato per incentivare quello pubblico. La cura del ferro è la strategia più efficace. Tram, metropolitane, linee ferrate extra urbane, logistica internodale, piste ciclabili urbane.
L’acqua riveste un tema strategico importante, raccogliere, conservare e distribuire anche attraverso nebulizzatori urbani e le classiche fontanelle nelle strade, nei parchi e nelle piazze. Ma senza dimenticare la lotta alla dispersione idrica.
Credo fermamente che, al netto degli slogan, molte amministrazioni comunali considerano ancora oggi il tema del clima come secondario e di lungo termine, non tanto nelle dichiarazioni pubbliche ma nella pratica urbana. Per essere incisivi serve un vero cambio di paradigma da parte di tutti. Oggi non si dovrebbe più realizzare un edificio, una strada o una piazza senza la componente climatica: alberi, permeabilità, regime delle acque, energia. Se agissimo da subito in questo senso, nei prossimi anni potremmo apprezzare gli effetti di questa strategia che riguarda la vivibilità delle nostre città. Vogliamo essere formiche o cicale? Contadini o solo raccoglitori? Pubblicitari o produttori? Ciarlatani o politici?