Tassi di interesse fino al 140% annuo e minacce nei confronti di chi non pagava rientrando dal prestito ricevuto.
Accade a Palermo, dove la guardia di finanza ha scoperto una banda che avrebbe praticato prestiti usurai. L’inchiesta della Procura, che si è basata sulle indagini delle fiamme gialle del Comando provinciale, ha portato a cinque misure cautelari: quattro arresti e un divieto di dimora a Palermo. Gli indagati sono accusati di associazione a delinquere, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, usura, estorsione e autoriciclaggio. Con lo stesso provvedimento il gip di Palermo ha disposto il sequestro preventivo di beni per un valore complessivo di circa 500 mila euro. In carcere è finito Salvatore Cillari, di 63 anni, mentre ai domiciliari sono andati il figlio, Gabriele Cillari, di 34, Matteo Reina, di 61, e Giovanni Cannatella, di 49.
Le indagini, condotte dal Nucleo di polizia economico-finanziaria del capoluogo siciliano, sono andate avanti per più di un anno, dal novembre del 2019 al dicembre del 2020, con intercettazioni telefoniche e ambientali, oltre che con pedinamenti, videorirprese e analisi dei flussi finanziari: al vertice dell’organizzazione, secondo le fiamme gialle, ci sarebbe stato Salvatore Cillari, che “almeno a partire dal 2016 avrebbe erogato prestiti in denaro con l’applicazione di tassi di interesse anche di tipo usuraio – è la tesi illustrata dagli investigatori – tra Palermo e Roma per un ammontare complessivo di 150mila euro”. Parte dei proventi illeciti, inoltre, sarebbero stati poi autoriciclati da Gabriele Cillari in un ristorante che è finito sotto sequestro.
Il ristorante oggetto del provvedimento è ‘L’Acerba’, nell’antico quartiere del Capo. La guardia di finanza evidenza il “grave stato di bisogno” vissuto da diverse vittime che hanno chiesto prestiti in denaro proseguiti anche nel periodo del lockdown causato dall’epidemia da Covid-19. Gli altri indagati, secondo le fiamme gialle, avrebbero ricoperto il ruolo di intermediari nel meccanismo che puntava all’erogazione dei prestiti alle vittime, proponendo loro piani di rientro e veicolando messaggi per il rispetto della scadenza delle rate concordate. Il sistema, secondo gli investigatori, era basato sul rilascio di assegni postdatati utilizzati a garanzia dei prestiti, oltre che su dazioni in contanti prive di tracciabilità “con l’obiettivo – dicono gli investigatori – di schermare i passaggi di denaro”.
Le indagini, inoltre, hanno fatto emergere “l’assoluta sproporzione” tra i beni in mano agli indagati e i redditi da loro dichiarati. Sotto sequestro, quindi, oltre al ristorante, anche i due immobili che ospitano l’attività, una moto e conti correnti bancari.