Stamani, in seguito ad indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Catania ed eseguite dai Carabinieri della Compagnia di Paternò (CT), è stata data esecuzione a una ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. del Tribunale etneo nei confronti di ALLERUZZO Alessandro, di anni 47, in ordine al delitto di omicidio volontario pluriaggravato ai danni della sorella ALLERUZZO Nunzia avvenuto nel 1995, attraverso l’esplosione di due colpi di pistola cal. 7,65 alla testa, per motivi abietti, e segnatamente al preteso fine di riscattare l’onore della famiglia mafiosa ALLERUZZO oltraggiata dalle relazioni extraconiugali intrattenute dalla stessa Nunzia con soggetti criminali ritenuti nemici della stessa famiglia.
ALLERUZZO Alessandro è il figlio del defunto boss ALLERUZZO Giuseppe che negli anni ’70 e ‘80 guidava il gruppo paternese di cosa nostra, al centro di numerose faide sanguinose e particolarmente cruente, articolazione territoriale della famiglia mafiosa SANTAPAOLA di Catania. Egli è inoltre cugino di ALLERUZZO Santo, cl. 1954, detto “a vipera” considerato reggente del clan fino al suo ultimo arresto avvenuto nell’ambito della operazione “Sotto Scacco” condotta da questa Direzione Distrettuale.
Negli anni ’80 e ’90 gli omicidi si susseguivano tra le fazioni e lo stesso ALLERUZZO padre subì il lutto dell’assassinio della moglie e del figlio e decise pertanto di collaborare con la giustizia.
Il 25 marzo del 1998, militari del Nucleo Operativo della Compagnia di Paternò, a seguito di due telefonate anonime (in carcere, Santo ALLERUZZO, aveva intimato ad Alessandro di far ritrovare il corpo della sorella per darle sepoltura), consentivano il ritrovamento in un pozzo nelle campagne di Paternò nei pressi dell’abitazione di ALLERUZZO Giuseppe, dei resti ossei di una donna, in particolare il teschio, dove veniva riscontrata la presenza di due fori causati da colpi di arma da fuoco. Le successive attività investigative, corroborate anche dalla comparazione del D.N.A., permettevano di identificare la vittima in ALLERUZZO Nunzia, scomparsa il 30 maggio del 1995 dopo esser stata vista dal figlio di 5 anni uscire di casa unitamente al fratello ALLERUZZO Alessandro.
Solo recentemente a seguito delle dichiarazioni di 3 diversi collaboratori di giustizia (BONOMO Francesco, CALIÒ Antonino Giuseppe e FARINA Orazio), riscontrate reciprocamente, hanno trovato conforto le dichiarazioni rese dai familiari della vittima e dei dati oggettivamente riscontrati in occasioni del rinvenimento del cadavere.
BONOMO riferiva di aver saputo da Giovanni MESSINA e da CALIÒ che l’omicidio di Nunzia ALLERUZZO fosse stato commesso dal fratello Alessandro, così riscattando l’onore della famiglia violato dal fatto che la sorella aveva avuto numerose relazioni sentimentali con componenti del clan, abbandonando il marito.
Tali circostanze trovano conferma nelle dichiarazioni che rendeva proprio CALIÒ, confermando di aver appreso quanto sopra direttamente da ALLERUZZO Alessandro in persona, il quale gli aveva raccontato di aver ucciso la propria sorella, sporcandosi di sangue e terra per averla dovuta trascinare, al fine di riscattare l’onore della famiglia.
Anche il collaboratore FARINA confermava questa ricostruzione, aggiungendo che tra gli amanti di Nunzia ALLERUZZO figurasse anche MESSINA Giovanni, componente del gruppo, che aveva ucciso la madre e che pensava di uccidere lo stesso Alessandro.
Ulteriori attività investigative, a seguito della riapertura delle indagini nel 2021 coordinate dalla D.D.A. di Catania ed eseguite dai Carabinieri di Paternò, consentivano di sentire a sommarie informazioni i familiari della ALLERUZZO, dalle quale emergevano un eccesso di ritrattazioni, addirittura superflue e a maggior ragione sospette. Venivano inoltre disposte intercettazioni all’interno della cella della Casa Circondariale di Asti dove erano detenuti MESSINA Giovanni e ASSINATA Salvatore i quali, a seguito della pubblicazione di articoli di stampa il giorno 09.02.2021 sulla riapertura delle indagini, commentavano confermando l’ipotesi investigativa dell’omicidio in ambito familiare (“mi rissi…o iddi pavunu…e Alessandro è il mandante…ehh…ammazzau…ehh”).