L’esponente di Articolo Uno, Giancarlo Ciatto, interviene con una nota sulla questione che riguarda la ‘movida’ paternese.
Ricordo, negli anni in cui ero consigliere comunale, la felicità che tutti noi provavamo nel vedere Piazza Umberto viva come mai era stata prima. I locali animavano le serate nella favolosa cornice del nostro centro storico, ai piedi del Castello Normanno.
Quando finivamo le sedute consiliari, era un piacere dello spirito sedersi ai tavoli; consumare una pizza o un amaro. In quel momento storico la città tornò ad essere vissuta complessivamente da tutti i suoi strati sociali come fossero -come dovrebbero essere in ogni Città- un’unica cosa. Fu questo “spirito dei tempi” a spingere l’allora amministrazione a provare di riorganizzare la Rocca Normanna. La premessa era d’obbligo perché da un po’ di tempo, al di là delle regole restrittive della pandemia, si discute di Piazza Umberto come di una questione di ordine pubblico ‘latu sensu’. Ora, posto che le risse vi erano anche ai miei tempi, nell’affollatissima Piazza della Regione (Stefanel), si tratta di capire se questa vicenda, così come la vicenda di altri luoghi della città, su tutti l’area adiacente alla Chiesa dello Spirito Santo, sia una vicenda che va letta solo da un punto di vista dell’ordine pubblico. Io credo di no. Certamente, vi è un aspetto legato alla sicurezza e all’ordine, aspetto che in generale è presente in tutta la città, a prescindere dalla movida.
Ma io non credo che la soluzione del problema sia di tipo repressivo, e non lo credo perché alla radice del problema non vi è – o non vi è soltanto – una questione criminologica. Io non ho risposte preconfezionate né tantomeno verità assolute da consegnarvi, ma sono convinto che chiunque voglia governare questa comunità debba cimentarsi in uno studio approfondito su che cosa sia diventata Paternò. Bisogna sbattersi la testa per trovare soluzioni radicali. Come si presenta la nostra città, si potrebbe anche dire cosa è sempre stata, da un punto di vista sociologico? Come si compone la sua struttura sociale, indipendentemente da chi la governa? Quale contributo danno i cosiddetti ceti dirigenti? Di cosa si occupa la borghesia (non conosco altro modo per chiamarla) di questa città? I ceti popolari hanno una coscienza? O i ceti popolari si sono sottoproletarizzati? Qual è la struttura economica della città? Come si muovono i flussi di denaro? Cosa accade nelle nostre campagne? Ancora, cosa sono, cosa sognano, quali drammi vivono i giovani della nostra città? Quali sono i luoghi che frequentano? Di quale cultura si nutrono? Queste e molte altre sono le domande che bisogna porsi in profondità, per provare a trovare delle soluzioni. Perché se cominciamo ad abbozzare qualche risposta, forse i fatti di piazza Umberto ci si presenteranno sotto un’altra veste. Proviamo? Dunque: la borghesia di questa città, me compreso, almeno dagli anni sessanta – un tempo sufficientemente lungo per creare processi sociologici – in estate “abbandona” la città per trasferirsi a Ragalna. Molti paternesi ormai vivono stabilmente a Ragalna, tutto l’anno. E molti di noi stanno pensando di viverci. La borghesia paternese non ha mai investito un centesimo, né in termini economici né in termini di tempo, per creare cultura in questa città. Cultura intesa nel senso più ampio del termine; come quel complesso di luoghi che animano una comunità. Vi sono, sì, svariate associazioni ma sembrano avere più una visione corporativa che non comunitaria. I due cinema che vi erano a Paternò hanno chiuso prima che aprisse Etnapolis.
Paternò non ha un teatro funzionante. Adrano, Biancavilla e Belpasso, per fare qualche esempio, sì. La Paternò bene, di cui i ceti popolari sono lo specchio, si stupisce quando si trova fuori dalle mura della propria città, di luoghi che non hanno nulla in più rispetto al nostro centro storico. Viviamo nella Valle del Simeto, uno dei posti più incantevoli, ma pochi sembra se ne siano accorti. La città non ha una vera e propria zona industriale né una zona artigianale. Vi sono dei tentavi lodevoli di fare intrapresa, ma non creano sistema. Non potrebbero, del resto, in una città totalmente priva di infrastrutture materiali e immateriali. L’agricoltura, un tempo vero motore della nostra economia, è finita per soccombere alle esigenze di un mercato globale che accorcia le filiere, sfrutta i lavoratori, e in assenza di cooperazione emargina i piccoli produttori. Soltanto negli ultimi anni vi è uno sforzo da parte della commissione socio-pastorale del vicariato di Paternò per portare al centro del dibattito pubblico alcune questioni. Encomiabile il lavoro del mondo del volontariato, Caritas e Bisaccia del Pellegrino su tutti, per alleviare il dolore di tanta povertà.
Ma nel suo complesso anche la Chiesa locale non riesce ad avere presa in una società reificata e schiacciata dall’edonismo dei consumi. Se questa è la realtà della città così come si squaderna di fronte ai nostri occhi, come si fa a stupirsi dei nostri giovani? Quale futuro offriamo ai nostri ragazzi? Quali luoghi di socialità? Quali risposte alle loro drammatiche domande? Una città in cui le auto sembrano muoversi nel traffico senza nessuna meta, se non quella di andare a spendere soldi nei centri commerciali. Una città in cui la villa comunale, anziché essere piena di famiglie e bambini, è piena di sporcizia e di vandalismo. E si potrebbe continuare per ore…
Ma un giorno i nostri ragazzi ci chiederanno: dove eravate voi tutti? Dunque, anziché pontificare con la puzza sotto il naso, magari sdraiati in qualche assolato lido, o seduti su una dondola delle nostre meravigliose case in montagna, rimbocchiamoci le maniche e sporchiamoci le mani. Altrimenti non ci si può lamentare se la città è ridotta come è ridotta. Non ci si può lamentare di un certo andazzo. Bisogna studiare da dove i problemi derivano, per poterli risolvere. Bisogna che tutta la città si senta coinvolta in una sorta di rinascimento e bisogna fare presto. Soprattutto, bisogna tener conto che serve una cesura radicale rispetto al passato. Con tutti i metodi del passato, che hanno coinvolto tutti. Vincere una elezione è perfettamente inutile, se non provi a cambiare nel profondo la struttura sociale, dunque economica, della città. Cambierebbero i musicanti, ma non la musica.
No, Piazza Umberto -come qualsiasi altro luogo della città – non è un problema di ordine pubblico e di repressione. È un enorme problema sociale e politico, che riguarda tutti noi. Nessuno escluso.