“Ho molto apprezzato le parole di Mario Calabresi, figlio del commissario ucciso a Milano nel 1972. Le parole in cui non invoca la galera per i colpevoli ma chiede verità mi fanno pensare all’esperienza sudafricana dopo l’apartheid: verità in cambio di clemenza”.
Lo afferma Walter Veltroni, ex segretario del Pd, giornalista e scrittore, in un’intervista a Repubblica, sulla stagione degli anni di piombo.
Con l’omicidio di del leader democristiano Aldo Moro “fu spezzato l’ultimo grande disegno per il Paese e dopo non ce n’è più stato uno di altrettanta grandezza. Da allora l’Italia è rimasta una pallina di ping pong in un tornado”.
In quell’omicidio “c’è anche la radice della nostra crisi infinita”.
Moro, continua Veltroni, “fu ucciso dalle Br, ma qualcuno lavorò perché quello fosse l’esito. Non bisogna essere dei dietrologi, categoria alla quale non appartengo, ma neanche dei fessi. Viene rapito l’uomo cerniera della vita politica italiana, nel giorno in cui doveva dar vita alla maggioranza che comprendeva il Pci. Per 55 giorni si apre una trattativa ed è chiaro che in quello spazio si infilano soggetti vari”.
Fra i quali “gli Usa perché non volevano il Pci al governo e l’Urss perché non voleva che la linea di Berlinguer di sganciamento dal blocco sovietico avesse successo. Poi c’è anche la P2, quel grumo di potere oscuro”. Ma non va ridotto il ruolo delle Br nell’omicidio Moro. “Le Brigate rosse erano le Brigate rosse. Non erano le ‘sedicenti’ o le ‘cosiddette’ Br. In questa definizione ci fu anche un tentativo di autoassoluzione. Una parte dei brigatisti veniva dal mito della Resistenza tradita che ha attraversato la storia comunista”.
“Non dico che Moro non sia stato cercato. Ma è chiaro che Moro libero faceva più paura di Moro morto. Dopo, lo Stato trattò per Cirillo, persino usando la camorra. Il ministro Cossiga, al Viminale, aveva intorno tutti uomini della P2. Non credo all’epoca si avesse percezione di tutti quei centri di potere occulto, uno Stato che aveva il marcio dentro. Anche quando arrivano i consulenti americani il loro obiettivo, poi persino dichiarato nei libri, era che Moro morisse”. Per questo, continua Veltroni, “fu costruita la grande menzogna sulle lettere di Moro. Quelle missive non erano scritte sotto dettatura, ma esprimevano, certo nelle condizioni date, il pensiero di Moro, la sua idea dei rapporti tra persone e Stato”.
Sulle trattative per liberare Moro il Pci prese la linea della fermezza “per due ragioni. A parlare di ‘album di famiglia’, sottolineando cioè che i brigatisti non erano agenti dei servizi bulgari, non fu solo Rossana Rossanda. Lo disse anche il democristiano Giovanni Galloni. Il Pci aveva bisogno di marcare un confine netto con quell’area. E poi c’erano stati poliziotti, giudici, giornalisti ammazzati. Per lo Stato trattare con le Br, in quel clima, non era facile. Però c’erano due fermezze. Quella politica, condivisa da quasi tutti i partiti, e quella opaca, il cui scopo era che Moro non tornasse”