Mamma: madre e terra, incubatrice e scrigno, faro della nostra esistenza

Mamma: madre e terra, incubatrice e scrigno, faro della nostra esistenza

Maria, mamma, matrice, matrona, madonna, materna. Una festa per la madre, una festa per la terra.

Mamma: madre e terra, incubatrice e scrigno, faro della nostra esistenza La mamma è l’iconografia prevalente della nostra vita, il punto di partenza, il termine di paragone, la misura delle cose. L’abbiamo chiamata in mille modi e rappresentata sotto ogni forma, sin dall’antichità più remota. Esiste anche quando non c’è, quando è andata via, quando il suo volto è solo un ricordo, forse l’ultima consapevolezza prima di diventare altro.
Conservata nella profondità della nostra memoria, altare immaginifico delle nostre case, culla perpetua dei nostri pensieri.

In ogni tempo e in ogni spazio abbiamo sacralizzato questa figura permanente della nostra vita. Tutti veniamo da una mamma e tutti vi torniamo alla fine dei nostri giorni. Madre e terra, incubatrice e scrigno. Il grande mistero della vita che accomuna tutti in ogni parte del pianeta. Indispensabile, segna il nostro tempo, guida il nostro sguardo, forgia il nostro carattere, comunque e per sempre.

Molte liturgie sono modellate sulla sua figura.

Dea Madre, Gea, Demetra, Iside, Maria, tanto per citare i nomi presenti nell’area mediterranea. Ogni città, ogni territorio, possiede un luogo o un edificio a lei dedicato. Una presenza sacra che enfatizza il mistero, la maternità, la ciclicità. Collocata più volte nel calendario rituale, agro-pastorale, come per segnare costantemente la sua indispensabile intercessione. Ordini monastici, congregazioni e comunità sono spesso a lei dedicate e l’arte ha celebrato sempre la sua grandezza con opere mirabili che hanno tentato di descriverla.
Le dee madri preistoriche, il pantheon greco-romano di Demetra e Iside, le madonne ieratiche del medioevo, le misteriose Marie bizantine e il patrimonio dell’arte rinascimentale, fino alle realistiche figure caravaggesche.

La madre è madre anche quando non partorisce, anche quando non abbraccia nessun figlio, anche quando non crede di essere madre.

Perché essere madre significa essere terra, dalle zolle fresche e umide fino alla sabbia del deserto che nasconde tra le sue dune datteri e sorgenti. Maternità, un’idea costante ci vede protagonisti del pendolarismo tra essere figli ed essere madri. Perché anche molti uomini sono madri, lo sono spesso per necessità, per amore, per non privare la discendenza di quella presenza intima e profonda.

Molti sono gli appellativi che noi rivolgiamo alle mamme.

Declinazioni delle loro virtù. Mamma coraggio, madre fortezza, Maria vergine, Madonna delle Grazie e potremmo continuare per giorni interi. Il Mediterraneo ci ha offerto tante possibili varianti, tutte riconducibili al mistero della nascita e della morte del “figlio” prediletto: il figlio come frutto. Demetra cerca Persefone, rubata da Ade, stessa sorte per Iside e Maria. La festa della mamma è l’attualizzazione di questa devozione antica. La necessità di celebrare la maternità della terra, sempre vergine e sempre fruttuosa. Una “parthéna” che perpetua il suo mistero ciclicamente e che necessità di una ricca liturgia iconografica.

Un culto profondo che si esplica attraverso innumerevoli forme e nelle tante città a lei dedicate.

Mamma: madre e terra, incubatrice e scrigno, faro della nostra esistenza Come la città di Hybla (Major) che perde il suo nome originario per quel processo di riconversione “teodosiano” che pretende la cancellazione di ogni rimando alla dea Venere (iblense) compreso la distruzione dei templi a essa dedicati.

Una forma di esorcismo del VI secolo che impone la conversione forzata al cristianesimo e la cacciata di ogni iconografia pagana. Per questo la città di Hybla – attraverso l’uso della lingua greca, in uso a quel tempo – chiama – per scelta teologica – Parthènos (la vergine) la città di Hybla che poi per traslitterazione diventa Paternionis (civitas fertilissima), fino a diventare Paternò.

Quindi una città dedicata ancora una volta a Maria la vergine, alla madre, alla dea della terra. Lo stesso tempio di Demetra – probabilmente edificato nel 480 a.C. da Gelone di Siracusa, di ritorno dalla battaglia di Himera – viene convertito nel tempio di Maria, oggi la Matrice, la chiesa madre della città, appunto la chiesa della Madonna vergine.

Tempio-chiesa che si orienta verso il sorgere del sole proprio nel mese di maggio (15° nord-est), che si articola secondo proporzioni afferenti al costruire greco.

Perché Maria è l’originaria protettrice della città di Paternò prima che San Vincenzo (dei Moncada) e Santa Barbara (dei Templari, anch’essi devoti a Maria) prendessero il posto della Dea Madre, che rimane presente nella devozione popolare. (Santuario della Madonna della Consolazione).

Mamma: madre e terra, incubatrice e scrigno, faro della nostra esistenza Le stesse opere di Sofonisba Anguissola – Madonna dell’Idria e della Misericordia – più volte evidenziate da Francesco Giordano e Alfredo Nicotra, sono un tripudio a questa Mamma Maria che festeggiamo ormai da secoli. La festa della Mamma è la festa di Maria, di Iside, di Demetra, di Gea e della Madre terra.

Allora dobbiamo riconoscere la natura femminina di questa città che deve molto alle sue donne madri. Camera reginale dimora di Bianca di Navarra, Eleonora d’Aragona, Sofonisba Anguissola, Santa Barbara, Julia Florentina, Iside, Demetra e quella Hybla (major) spesso dimenticata.

La mamma, che festeggiamo oggi è la madre dell’umanità, il faro della nostra esistenza, comunque la si voglia rappresentare nell’arte e nella parlata comune.

Nella speranza si possa anche ritrovare l’identità di questa comunità che qualche volta si perde in altre faccende, presa da tifoserie senza senso. Ripartiamo da Hybla, ripartiamo dalla nostra storia, per celebrare Maria, la Vergine, la Parthènos.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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