“Ei fu. Siccome immobile, / Dato il mortal sospiro, / Stette la spoglia immemore / Orba di tanto spiro, / Così percossa, attonita / La terra al nunzio sta…”
E’ l’incipit di “Il Cinque Maggio”, la poesia di Alessandro Manzoni, imparata a memoria da generazioni di studenti.
E’ un’ode civile composta di getto alla notizia della morte di Napoleone (5 maggio 1821), la cui vicenda terrena viene rievocata con forti accenti epici. Il ritratto del potente sconfitto e umiliato che al termine della sua vita approda alla fede religiosa, comprendendo infine la propria vicenda terrena nell’ordine provvidenziale della storia, spiega i toni lirico-religiosi del componimento, fondato su una ricca tramatura lessicale di derivazione biblico-patristica e liturgica, nonché in parte ispirato alle orazioni funebri di Bossuet.
A livello formale, i tratti distintivi del componimento sono il dinamismo della rievocazione narrativa, la scansione vibrata e musicale delle strofe, e in generale un’intensità melodica, che – a cominciare dal celebre incipit – si basa su una rete di echi interni diffusi lungo tutta l’estensione del testo. Cronologicamente collocato al crocevia tra le esperienze di scrittura delle tragedie e del romanzo “I Promessi Sposi”, “Il Cinque Maggio”, pur nella sua singolarità, costituisce inoltre la cornice lirica entro la quale si definiscono alcuni temi topici della poetica manzoniana, come, su tutti, quello dell’autorità e della gloria umana ridimensionata dalla gloria divina; constatazione da cui dipendono il tono da inno sacro e il carattere esplicitamente parenetico delle quattro strofe finali.
Nell’ode, il poeta annuncia, senza mai nominarlo, la morte di Napoleone. La condizione di immobilità delle sue spoglie mortali è paragonata a quella della terra, colpita dalla notizia della scomparsa del condottiero, ammutolita al pensiero della sua ultima ora e incapace di prevedere quando una simile orma umana verrà di nuovo a imprimersi sulla sua polvere insanguinata. Il poeta, che ha taciuto sia quando ha visto Napoleone al culmine della sua potenza, sia quando, con continui rivolgimenti di sorte, egli è stato sconfitto, per poi tornare grande ed essere quindi definitivamente piegato, si è astenuto tanto dalla lode servile quanto dall’offesa: ma ora, commosso di fronte all’improvviso spegnersi di un raggio così luminoso, innalza sulla sua tomba un canto che forse rimarrà eternamente vivo.
Dall’Italia all’Egitto, dalla Spagna alla Germania, ogni progetto di quell’uomo risoluto ha trovato una fulminea realizzazione; si è manifestato così dalla Sicilia alla Russia, dall’uno all’altro mare. Ma fu vera gloria? Si accetti il volere di Dio, che ha impresso in Napoleone un segno del suo spirito creatore. Tanto è vero che egli sperimentò tutto: la gioia di un grande progetto, l’ansia di un animo indomabile che obbedisce e intanto pensa al comando, lo raggiunge e ottiene una ricompensa in cui era folle sperare; la gloria, maggiore se acquisita con il pericolo, la fuga e la vittoria, il dominio assoluto e l’esilio solitario.
Egli stesso si proclamò imperatore: due secoli, in contrasto tra loro, si rivolsero a lui sottomessi come per attendere una decisione sul loro destino; egli impose il silenzio, come un arbitro. E ciò nonostante sparì e finì i suoi giorni nell’inattività, in una piccola isola, ancora fatto oggetto di enorme invidia, di compassione profonda, di odio inestinguibile e di amore incondizionato. Come le onde del mare in tempesta incombono e premono sul capo del naufrago, che poco prima su di esse cercava inutilmente di scorgere sponde lontane, così sull’anima di Napoleone pesò il cumulo dei ricordi: quante volte egli tentò di narrare per iscritto la sua storia ai posteri e quante su quelle pagine dal valore eterno si arrestò stanca la sua mano. Quante volte, al calare della sera di un giorno inoperoso, abbassati gli occhi fulminanti e a braccia conserte, egli si fermò e fu assalito dalla memoria del passato. Ripensò agli accampamenti militari, alle trincee abbattute, al lampeggiare delle armi, all’assalto della cavalleria, agli ordini concitati, all’immediato ubbidire dell’esercito. Forse di fronte a un dolore tanto grande, l’animo spossato disperò e si spense; ma venne in aiuto dal cielo una mano che pietosamente lo trasportò in un’atmosfera più respirabile e lo pose sulla via dei sentieri fioriti della speranza; ai luoghi eterni e al premio che supera ogni desiderio, dove la gloria umana tace ed è oscura. Oh Fede, beltà immortale, portatrice di bene e trionfatrice, segna anche questo tuo successo e rallegrati perché mai uomo più grande si umiliò di fronte alla croce; allontana dagli stanchi resti mortali di Napoleone ogni parola di condanna: il Dio che fa disperare e risorgere, che dona dolore e consolazione, riposò sul letto di morte accanto a lui.