L’ex agente di polizia Derek Chauvin è stato dichiarato colpevole di omicidio e omicidio colposo per la morte dell’afroamericano George Floyd.
La giuria si è espressa dopo una deliberazione durata dieci ore, in anticipo rispetto al previsto. La folla riunita a Minneapolis, in attesa del verdetto, è esplosa in applausi e pianti di gioia.
Giustizia è fatta, ha commentato uno dei legali della famiglia, Ben Cramp, sottolineando che “questo caso è un punto di svolta per la storia americana”.
Una storia che più volte ha visto assolti o non processati agenti che hanno ucciso o ferito afroamericani in operazioni di polizia attraverso l’uso sproporzionato della forza.
La giuria ha ritenuto colpevole Chauvin di tutti e tre i capi d’imputazione dei quali era accusato: omicidio di secondo grado, omicidio di terzo grado e omicidio colposo di secondo grado. L’ex agente, che ha tenuto il suo ginocchio premuto sul collo di Floyd per 9 minuti e 29 secondi, è stato ammanettato in aula e preso in custodia dall’ufficio dello sceriffo della contea di Hennepin dopo che la sua cauzione è stata immediatamente revocata. Ora il giudice dovrà stabilire la pena per la quale sono previste diverse settimane di attesa. L’accusa più grave (omicidio di secondo grado) prevede una pena fino a 40 anni di carcere.
Il verdetto è stato letto in un tribunale circondato da barriere di cemento e filo spinato e pattugliato dalle truppe della Guardia Nazionale, in una città sull’orlo di esplodere. Le autorità hanno temuto disordini non solo per il processo a Chauvin ma anche per la recente uccisione da parte di un’agente del ventenne afroamericano Daunte Wright, in un sobborgo di Minneapolis lo scorso 11 aprile. Il presidente Usa Joe Biden, che a breve parlerà alla nazione, in giornata ha telefonato alla famiglia di Floyd e, successivamente, ha detto ai giornalisti di aver “pregato per un giusto verdetto”. Il democratico ha definito le prove nel caso “schiaccianti”.
Biden “sa cosa significa perdere un membro della famiglia, e conosce quello che stiamo attraversando”, ha detto Philonise Floyd alla Nbc, “Ci ha fatto sapere che stava pregando per noi” e che “sperava che tutto andasse bene”.
I giurati, dopo le circa tre settimane in cui a Minneapolis hanno ascoltato 45 testimoni e le arringhe di accusa e difesa, si sono riuniti per deliberare per due giorni consecutivi, per un totale di 10 ore. La città è stata blindata: più di 3mila soldati della Guardia nazionale, oltre che poliziotti, sceriffi e altre forze dell’ordine si sono riversati a Minneapolis per garantire la sicurezza. Nelle argomentazioni finali, l’accusa ha sostenuto che Floyd sia morto a causa del ginocchio che Chauvin, 45 anni, ha tenuto premuto sul suo collo per oltre 9 minuti, ignorando i presenti e le suppliche dell’afroamericano che più volte lo ha avvertito di non riuscire a respirare, ripetendo la frase “I can’t breathe”.
La difesa, invece, ha sostenuto che Chauvin, che è stato poi licenziato, abbia agito in modo ragionevole e che il 46enne Floyd sia morto a causa dell’assunzione di droghe e per problemi cardiaci pregressi.
La condanna di Chauvin ha richiesto un verdetto unanime da parte della giuria composta da 12 persone sei bianchi e sei non bianchi, di cui quattro afroamericani; sette sono donne e cinque uomini. Floyd, afroamericano di 46 anni, è morto il 25 maggio 2020 dopo essere stato immobilizzato dagli agenti di Minneapolis, chiamati da un dipendente di un negozio di alimentari dopo che l’uomo aveva pagato il conto con una banconota da 20 dollari contraffatta.
Il giorno seguente è stato pubblicato il video girato da persone presenti sulla scena che mostrava Floyd mentre più volte diceva “I can’t breathe”, non riesco a respirare. Chauvin e altri tre ufficiali, Thomas Lane, J. Kueng e Tou Thao, (i cui processi sono stati separati da quello di Chauvin) sono stati licenziati e sono iniziate manifestazioni in tutti gli Stati Uniti e oltreoceano. Le proteste, guidate dal movimento Black Lives Matter, sono andate avanti per mesi. I manifestanti hanno denunciato il razzismo sistemico e l’uso sproporzionato della forza da parte della polizia, chiedendo giustizia.