L’approfondimento, come attitudine ad indagare le cose umane e divine, rappresenta un prerequisito indispensabile per classificare utilmente una persona. La superficialità ne rappresenta in qualche modo l’opposto e quindi per certi versi l’inutilità.
Per semplificare collochiamo le persone definite profonde nell’area di giudizio della positività e quelle superficiali in quella della negatività. Quell’uomo è profondo, entra nelle cose, indaga oltre ogni limite e da questo deriva la sua maggiore sensibilità, spesso il suo bagaglio culturale, la capacità di comprendere le cose, le persone, i grandi sistemi. Dall’altra parte, quell’uomo è superficiale, non approfondisce nulla di ciò che lo circonda, rimane vagamente impegnato e coinvolto, non comprende la verità delle cose, le dinamiche relazionali e vive sempre sospeso con atavica leggerezza.
Sono questi i due archetipi che ereditiamo da un’eccessiva semplificazione dei comportamenti umani.
Le persone profonde e quelle superficiali. Gli impegnati e i disimpegnati. I coinvolti e gli assenti. I determinati e gli indeterminati. Le troviamo ovunque queste due categorie: nella pubblica amministrazione, nelle imprese private, nelle parrocchie, nei campi di calcio, tra i liberi professionisti, tra i disoccupati e le casalinghe. Insomma in ogni luogo, famiglia, posto di lavoro e di svago ci troviamo sempre da una parte le persone profonde e dall’altra i superficiali.
Ovviamente nascondiamo il nostro lato superficiale per mettere in bella mostra quello profondo. Perché se guardiamo dentro di noi c’è sempre un Dottor Jekyll e il suo alter ego, Mister Hyde, anche se non possiamo non ammettere che qualcuno è solo Jekyll (spesso noioso) o solo Hyde (più simpatico).
Certamente – anche in funzione dei ruoli – siamo più rassicurati dai personaggi profondi:
poetici, colti, sempre sul pezzo, un romanzo sotto braccio, pronti a ogni conversazione, assenza di dialetto locale, informati su ogni cosa, competenti su tutto, amanti passionali con il culto del tabacco speziato e del calice giusto. Uomo o donna poco importa, unica necessità, l’attitudine alla visione profonda della vita: filosofia, psicologia, antropologia, economia, arte, teologia. Mi viene da pensare allo stile Severo dell’arte classica greca o al San Girolamo di Antonello da Messina. Sguardo sempre attento, mente sveglia, sorriso sornione e battuta pronta.
Poi c’è l’altra faccia della medaglia.
Il superficiale, il sempre sorridente, il guascone, il bohémien, il fruttivendolo simpaticone, quello che ci prova sempre, quella che ride ovunque, la sempliciotta, quello che passa più tempo nei corridoi che nelle stanze a lavorare, quello dall’aperitivo pronto, dal calice sempre alzato, quello che sotto braccio al massimo ha la Gazzetta dello Sport, quello che non ha mai letto un libro, quello che non ha capito nulla della politica e che conosce solo la formazione del Milan del ’94.
Quello che ride per ogni battuta, a cui non importa chi governa, che la festa più importante dell’anno è il lunedì di Pasqua; quello che passeggia il sabato sera al centro commerciale.
Quello che ha capito tutto, esperto in tutto, capace di tutto, senza aver mai oltrepassato la soglia di casa sua. Quello che di norma è un leone da tastiera, nascosto dietro un monitor a proferire sentenze che se Umberto Eco lo vedesse, morirebbe un’altra volta (Umberto Eco, prega per noi).
Allora non ci rimane che prendere posizione. Profondi o superficiali? Sembra facile, ovvio, scontato ma non sarei così sicuro.
Perché se osserviamo meglio, appare evidente che un mondo fatto di esseri profondi sarebbe noioso, seriale, piatto, apatico. E di contro un mondo fatto di superficialità sarebbe un caos di anarchia straripante. Allora come possiamo ripensare queste categorie. Mi viene in mente un’allegoria, quella degli alberi. Alcuni hanno radici profonde altri superficiali. Nell’ecosistema sono indispensabili entrambi. Attingono a profondità diverse, svolgendo ruoli differenziati rispetto al suolo. Ma in superficie esiste anche un sottobosco, fatto di una vegetazione diffusa che svolge altri ruoli nell’ecosistema. Entrambi costituiscono l’armonia della natura.
L’uomo, attraverso le sue innumerevoli differenze, produce saperi, conoscenze, pratiche. Costruisce un’ecologia umana che si arricchisce di ogni differenza.
Attinge alle profondità dell’animo e alle sue superfici. Alterna, predilige una parte o l’altra. Ci insegna ad apprezzare la diversità come ricchezza, offre alla superficialità uno spazio profondo e alla profondità una vivacità superficiale. Osservare consapevolmente le infinite differenze che la società ci offre, senza correre il rischio di giudicare, elevandosi o sottomettendosi. Non si tratta di appiattire ma di cogliere il valore della diversità. Forse con rinnovata semplicità, per riapprezzare il concetto di competenza e credibilità. Potrebbe farci cogliere il valore della formazione, senza la necessità di essere per forza tutti uguali, tutti profondi e tutti sapienti.
L’ammissione di ignoranza, il bisogno di chiedere, la semplicità dell’essere.
Questa società ha emarginato la superficialità che per reagire simula profondità. Simulare quello che non si è. L’albero profondo ha bisogno del sottobosco superficiale.
Si chiama ecologia culturale. Superficialità e profondità sono differenti strumenti per indagare la complessità della natura, indispensabili entrambi per l’evoluzione della specie. Microscopi psicologici con differenti lenti per capire mondi diversi. Il gioco, lo scherzo, l’ironia, la felicità, la compassione, la solidarietà, la competizione, sono i territori dove superficialità e profondità esplorano nuove modalità di vivere. «Siamo tutti molto ignoranti, ma non tutti ignoriamo le stesse cose» Albert Einstein.