”Per fare il salto di qualità nella lotta al virus bisogna organizzarsi con almeno 500 mila dosi giornaliere”.
Lo sostiene Giuseppe Remuzzi, nefrologo, direttore dell’Istituto di Ricerche farmacologiche Mario Negri, in un’intervista al Corriere della Sera, precisando che “serve un’unica regia centrale. Vanno coinvolti Protezione civile ed Esercito per puntare ai grandi numeri. Non significa che i medici di base o le farmacie saranno esclusi: ogni aiuto in più è prezioso”.
Quanto ai luoghi dove vaccinare, suggerisce ”in grandi spazi come palestre, palazzetti dello sport, teatri che Regioni e Comuni potranno mettere a disposizione. L’Esercito può costruire in poche ore strutture mobili, come quelle utilizzate dopo un terremoto o un’alluvione”.
“In ogni struttura deve esserci un medico in grado di affrontare i rarissimi effetti collaterali gravi. Le iniezioni possono farle infermieri, ma anche specializzandi che già hanno una retribuzione. Per loro sarebbe un’esperienza formativa di cui andare fieri – prosegue Remuzzi, dicendosi favorevole alla dose singola – per ragioni tecniche e pratiche. Che sia chiaro, il richiamo va fatto, il punto è quanto presto. Le ragioni pratiche sono che abbiamo pochi farmaci: se immunizziamo tutti gli over 80 con tutti i prodotti disponibili togliamo subito la pressione sugli ospedali, tagliando l’80% dei pazienti in terapia intensiva e abbattendo i decessi. Per ragioni tecniche perché tutti i vaccini approvati funzionano nelle cose che contano: evitano la malattia grave e la morte”.
Il medico è favorevole ad estendere la vaccinazione con AstraZeneca anche agli over 80:
”Un lavoro appena pubblicato in Scozia che ha studiato 5,4 milioni di persone – riferisce – ha evidenziato che la prima dose Pfizer è stata associata a un’efficacia dell’85%, mentre la prima dose di AstraZeneca a un’efficacia del 94% tra i 28 e i 34 giorni dopo la somministrazione, anche in chi ha più di 80 anni con patologie come obesità, diabete, ipertensione, malattie cardiovascolari o precedenti malattie respiratorie che sappiamo espongono a maggior rischio di morte”.
Quanto ai dati pubblicati dal ‘Nejm’, che indicano che il vaccino Pfizer protegge dalla malattia al 57% con prima dose e al 94% con seconda dose, Remuzzi risponde che ”noi siamo abituati a discutere come se l’efficacia del 90% fosse la normalità, ma non è così. Guardiamo al vaccino contro l’influenza che protegge in media del 50%: tutti quelli che si vaccinano, anche se si ammalano, sono protetti dalle forme gravi. I dati scozzesi ci indicano una protezione di almeno un mese, ma se guardiamo gli studi che si sono susseguiti su quanto dura l’immunità dei guariti da Covid-19 possiamo stimare una media di sei mesi. Improbabile che un vaccino protegga per un tempo inferiore. Per essere prudenti dimezziamo e arriviamo a fare un richiamo dopo tre mesi. Per AstraZeneca è già così. Vaccini Moderna ce ne sono pochi. Johnson&Johnson è monodose. Il problema si pone con Pfizer, ma quando arriveranno abbondanti dosi come promesso potremo tornare al protocollo originale che prevede la doppia dose”.
Arriverà in Italia Sputnik?
“Ne abbiamo bisogno – afferma – credo che i documenti arriveranno presto all’Ema (l’Agenzia europea per i medicinali, ndr). L’efficacia di Sputnik sfiora il 94% e la sicurezza la vediamo con l’alto numero di vaccinati in tutto il mondo. Va fatta l’analisi di conformità delle strutture produttive tenendo conto che gli ispettori non possono pretendere che un vaccino prodotto in Russia o in Cina sia creato da macchine con marchio Ce. Quando il prodotto sarà validato dall’Ema mi auguro che Aifa (l’Agenzia italiana per il farmaco) arrivi all’approvazione in pochi giorni. Dobbiamo entrare nell’ordine di idee di produrre vaccini a mRna, tecnologia versatile che ci servirà anche per preparati oncologici, ma in brevi tempi è irrealizzabile. Mi immagino un unico progetto europeo in cui ognuno mette a disposizione le competenze e le strutture produttive per farci trovare preparati di fronte a nuove epidemie”.