Alcune Regioni come il Veneto intendono approvvigionarsi di vaccini anti-Covid al di fuori delle forniture ufficiali dell’Unione europea. C’è da fidarsi? “No, tutt’altro: bisogna stare molto attenti perché i rischi sono altissimi”.
Mette in guardia Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria, intervistato da ‘Il Mattino’.
“Ci sono due ordini di problemi – spiega – Il primo è la contraffazione: chi garantisce sulla qualità del vaccino, sugli studi clinici, sul rispetto dei criteri di conservazione, sull’efficacia e su eventuali effetti collaterali? Secondo: questo sistema rischia di immettere in circolazione vaccini, sia pure certificati, ma rubati e fatti transitare sul mercato parallelo”.
“Le aziende che hanno registrato la produzione di vaccini hanno firmato con l’Ue un contratto di approvvigionamento e fornitura – ci tiene a chiarire Scaccabarozzi – Si tratta di un accordo importante perché consente all’Ue di assicurare, al di là dei singoli accordi tra Stati, un’equa distribuzione dei vaccini. L’accordo a livello europeo prevede 1,5 miliardi di dosi, poi un’ulteriore fornitura di 700 milioni di dosi in aggiunta ad altre 200 milioni garantite da Pfizer. All’Italia spetta una quota pari al 13,46%”.
La corsa a trovare altre dosi “è un atteggiamento molto pericoloso – ammonisce il manager, presidente e amministratore delegato per l’Italia di Janssen, farmaceutica del gruppo Usa Johnson & Johnson che ha appena chiesto il via libera Ue al proprio candidato vaccino contro Sars-CoV-2 – I vaccini devono essere approvati dalle agenzie regolatorie che sono l’Ema e l’Aifa. Chi si assume la responsabilità di acquistare e somministrare un vaccino non certificato? Stiamo scherzando”.
Alle Regioni che si stanno comunque attivando, il suggerimento del numero uno della federazione nazionale imprese del farmaco è “di non farlo. E se anche trovassero un vaccino, si parla molto dello Sputnik russo, o qualsiasi altro, è necessario che lo sottopongano al vaglio di un’autorità regolatoria perché il rischio della contraffazione è altissimo”.
“Anche i laboratori dove i vaccini vengono prodotti devono essere certificati e autorizzati a svolgere il processo di lavorazione – osserva Scaccabarozzi – Come anche le società di intermediazione, i broker di cui tanto si parla, devono essere accreditate e autorizzate altrimenti sono fuori legge. Il pericolo di trappole è molto alto”.
Meglio liberalizzare i brevetti come molti suggeriscono? “Non serve”, sostiene il presidente di Farmindustria.
“L’Italia ha il settore farmaceutico più produttivo d’Europa – sottolinea – Il vaccino anti Covid è un prodotto biotecnologico estremamente complesso, il cui ciclo di produzione prevede più fasi, dura diversi mesi e deve essere effettuato in impianti dotati di bioreattori all’interno dei quali immettere il principio attivo che deve essere costruito con la tecnologia mRna o del vettore virale non replicativo. E, allo stato, non tutte le aziende farmaceutiche dispongono dei bioreattori indispensabili”.
Dunque bisogna intervenire sulla capacità produttiva?
“Bisogna dare una mano in questo senso per rispondere a una domanda globale senza precedenti – risponde Scaccabarozzi – E poiché la ricerca richiede investimenti di tempo, persone, risorse economiche, il brevetto è una garanzia senza la quale nessuno farebbe più ricerca”. Infine, una previsione sui tempi necessari per arrivare all’immunità di gregge: “Spero appena dopo l’estate, al massimo entro Natale. Ma non dimentichiamo che ci sono anche le altre malattie. Perché se facciamo solo vaccini – avverte il manager – non curiamo gli altri malati”.