Sugli argenti di Paternò avevamo tracciato la storia del ritrovamento e le ragioni che hanno portato questo tesoro a Berlino.
Il Corriere Etneo ne aveva parlato il 13 dicembre scorso (vedi qui).
Così come per gli argenti di Morgantina (in questi giorni l’Archeoclub Italia ha lanciato una campagna di sensibilizzazione per la restituzione) abbiamo prefigurato la necessità di un rientro in Sicilia per la musealizzazione proprio a Paternò, come è giusto che sia.
In verità gli argenti erano già tornati nel 2005 in Sicilia, prima a Ragusa e poi a Paternò con due mostre e un catalogo pubblicato dal comune di Ragusa. Su questo evento si sono scritte tante recensioni e la stampa del tempo ha enfatizzato le due mostre che permettevano la fruizione degli argenti, lontani dalla città dal 1909.
Un evento inatteso ma sicuramente di grande fascino. In molti hanno preso coscienza, in quell’occasione, dell’importanza di questo centro urbano, l’antica città di Hybla, che spesso era ed è tutt’oggi lontana dagli interessi della comunità scientifica.
Tant’è, che solo da poco si è risvegliato un certo interesse dopo anni di ordinario oblio. C’è ancora tanto da scoprire e studiare e se gli archeologi decidessero di cercare invece che di contemplare, sarebbe un bene per tutti.
Ma la storia di oggi che vogliamo raccontare è rocambolesca. Una storia parallela a quella ufficiale, mai svelata e che in esclusiva condivideremo con voi lettori. La storia muove i suoi primi passi da una domanda: perché il museo di Berlino decise di fare una mostra in Sicilia e perché a Ragusa prima e Paternò dopo?
A raccontarcela è uno dei protagonisti, il dott. Mimmo Arcoria, oggi come allora socio dell’Archeoclub d’Italia. Una storia divertente ma nello stesso tempo drammatica che ci aiuta a riflettere su chi siamo e sul valore che diamo alle cose. Una storia tragicomica, piena di colpi di scena con un lieto fine frutto del caso.
Tutto cominciò con un convegno di medici a Berlino al quale partecipa il giovane Mimmo Arcoria.
Dopo le relazioni scientifiche, a margine del convegno, il medico paternese decide di visitare il Museo di Berlino, con la sua macchina fotografica sempre pronta allo scatto.
Affascinato delle bellezze, provenienti da tutto il Mediterraneo, cerca e trova il suo vero obiettivo: gli argenti di Paternò. Orgoglio, fierezza, identità sono i sentimenti che il medico prova nel vedere, sotto i suoi occhi, i reperti provenienti dalla sua città natale. Belli, imponenti, solenni, nobilissimi. Un’eccitazione culturale che straripa nell’errore. Il medico non resiste e armato della sua macchina fotografica compie il gesto più ardito: fotografa – senza autorizzazione – quelli che considera i suoi gioielli di famiglia.
Scatta l’allarme e subito interviene la sicurezza che lo porta dritto dal direttore del museo, per le sanzioni previste dalla legge. Un dramma, lo sconforto, la paura ma all’improvviso si fa largo, nella mente, l’orgoglio del cittadino innamorato che sente quei reperti come parte della sua identità.
Inizia così un confronto tra lui e il direttore che comincia a capire le ragioni di Mimmo Arcoria. Piano piano si ammorbidiscono le posizioni fino a determinare un nuovo e inatteso scenario: il direttore, dopo aver ‘bonificato’ la macchina fotografica, promette che gli argenti torneranno per una mostra nell’antica Hybla. Dalla paura alla gioia, dal dramma alla felicità. Il medico torna in Italia felice per aver permesso il ritorno – anche se per poco – di un tesoro che di fatto appartiene a Paternò.
Ma dopo qualche anno la beffa.
Il direttore mantiene la parola data, ma per un disguido sull’attribuzione del toponimo Hybla (perché Paternò nel frattempo nascondeva la sua vera identità) gli organizzatori tedeschi trovano una sola Ibla in Sicilia, quella ragusana e con questa organizzano la mostra. Solo grazie a quell’Enzo Piazzese – storico componente dell’Archeolcub Siciliano e ragusano doc – è possibile capire l’equivoco e subito il medico paternese viene avvertito proprio dall’amico ragusano e si corre ai ripari.
Ormai tutto è per Ragusa – che di fatto non centra nulla – il catalogo, le conferenze stampa, la promozione sui media, ecc. persino la copertina della pubblicazione è divertente: al comune di Ragusa gli argenti di Paternò, una beffa. Allora di corsa a sollecitare l’intervento dell’allora sindaco Pippo Failla e in extremis la mostra dopo un grande successo a Ragusa viene spostata per una settimana a Paternò per riparare all’errore. Scambiare Hybla, chiamata non a caso Major, con la Ibla di Ragusa. Soltanto grazie all’intraprendenza degli attori di questa vicenda, siamo riusciti a vedere almeno una volta gli argenti. Una storia finita bene, nonostante tutto.
E adesso cosa si può fare? Dopo molti anni, quasi nell’indifferenza generale, questa città è chiamata a dare un segnale, come sta facendo Morgantina.
Allora, ancora una volta quel medico impertinente che voleva fotografare gli argenti di Paternò, lancia a nome dell’Archeoclub Italia, un appello:
“Facciamo ritornare gli argenti a Paternò, per poco, per sempre. Sottoscriviamo una petizione come quella fatta per gli argenti di Morgantina; costruiamo convergenze nell’opinione pubblica, tra le associazioni, gli enti, la comunità; per una battaglia civica e culturale”. Coltivare l’identità significa pensare al futuro possibile. Per dare senso a tutto questo è necessario cominciare da oggi a pensare a dove esporre i reperti, e non solo questi.
Serve urgentemente un vero museo archeologico della città, un museo che narri la nostra storia vera, un centro di ricerca multidisciplinare che possa attrarre anche ricercatori internazionali. Alla regione ci sono progetti che aspettano da anni il finanziamento, come quelli per il convento di San Francesco, pensato proprio per questo scopo: uno spazio espositivo con laboratori di ricerca e sale conferenze. Un progetto già pronto. Non possiamo sperare sempre nell’ardore di pochi. Serve una cultura della programmazione e una visione delle città. Serve adesso.