Bronte, nostalgia del Natale di una volta: il rosario in via Cardinale De Luca e poi a giocare a ‘sette e mezzo’

“Ai miei tempi…” esordiscono ancora i nonni per trovare la scusa e la gioia di raccontare le esperienze della gioventù e le vecchie tradizioni.

“Ai miei tempi…” esordiscono ancora i nonni per trovare la scusa e la gioia di raccontare le esperienze della gioventù e le vecchie tradizioni.

Anche a Bronte il Natale raccontato dai nonni è molto diverso dal Natale di oggi. Era vissuto quasi in povertà, ma questo poco importava poiché la vera ricchezza era nel cuore di ognuno. La tanto attesa vigilia di Natale si passava in compagnia di tutti i parenti, zii, cugini e nonni. La mattina si cucinava, si preparava la tavola per la cena, attendendo il ritorno degli uomini da lavoro.

“Ai miei tempi non esisteva lo sfarzo che c’è oggi – racconta una nonna nostalgica – prendevamo qualche ramo di pino appena potato, lo poggiavamo sulla macchina da cucire o vicino un simbolo religioso e lo decoravamo con del cotone, mandarini e arance. Quello era il nostro albero di Natale e noi eravamo felici”.
La giornata proseguiva gradevolmente tra un rosario e l’altro. Mentre i bambini giocavano tra loro, le donne non perdevano nemmeno un minuto di tempo per ringraziare e pregare il Signore.

“Di pomeriggio – continua la nonna – ci recavamo presso la cappellina situata in via Cardinale De Luca, vicino alla mia casa materna, dicevamo il rosario e pregavamo il bambinello Gesù in compagnia dei parenti e degli amici, allietati dai canti religiosi e natalizi del coro e dalle melodie dello zampognaro”.

La sera arrivava il momento della cena, e proprio questa occasione era motivo di orgoglio per gli uomini che, dopo il lavoro di un anno intero, potevano far si che i loro cari potessero godere delle prelibatezze preparate da loro stessi: salsiccia, lardo, salame.

Dopo cena, mentre si aspettava la veglia di Natale, gli uomini erano soliti parlare e giocare a carte. I giochi più comuni, molti dei quali in uso ancora oggi, erano: “spogghia monica”, “cocci l’oro”, “briscola”, “tivitto”, “scopa”, “sette e mezzo”.

Attorno alla ‘conca’, un braciere ardente, le donne e i bambini si riunivano per riscaldarsi, raccontarsi la propria giornata o delle storie che venivano tramandate di generazione in generazione. Più tardi, in occasione della Santissima Messa, tutta la famiglia indossava i vestiti migliori che aveva e si incamminava verso la Chiesa per udire le parole del parroco e festeggiare insieme la nascita di Gesù.

La mattina di Natale, i bambini delle famiglie benestanti ricevevano regali, mentre i bambini nati in famiglie meno agiate si accontentavano di qualche dolcetto o, peggio, niente. Tra i dolcetti natalizi che ricordano i nonni ci sono i tipici “biscotti a esse” siciliani, i “mastazzori” (dolci a base di vino cotto con pistacchio sopra) e i “panitti” (dolci con vino cotto, fichi e uvetta).

Ma la delusione di chi non aveva ricevuto niente svaniva quando sentiva il profumo del pranzo di Natale che, seppur misero e a base di cibi genuini, era un’opportunità per riempire finalmente le pance vuote (e a quel tempo un pasto caldo era già un traguardo).

Si passava così la giornata di Natale, in compagnia dei cari a mangiare fichi secchi e mostarda, giocare al gioco dell’oca e a ringraziare Dio per quel giorno e per quel che avevano.

Numerose sono le poesie dialettali vecchie almeno 250 anni che vengono tramandate da padre in figlio e che oggi vengono cantate dai bambini durante la recita di Natale a scuola.

“Ndi na povera mangiatura
patturiu na gran signura
c’u bue e l’asinello
nasciu Gesù bambinello
e ‘lu povero picuraru
non c’avi nenti chi ci puttari
ci porta un fasci ‘i bruscagghielli
pi ci sciucari i pannuzzelli
lu poviru picuraru
non c’avi nenti chi ci puttari
ci porta cascacavallo e tumma frisca…”

 

FOTO DI ENZO BIUSO

Erika Samperi

Riguardo l'autore Erika Samperi

Erika Samperi, di anni 20, è una studentessa universitaria, orgogliosamente siciliana. Impegnata attivamente nel sociale, ama l'arte in tutte le sue forme, leggere e viaggiare. Cresciuta a pane e fiabe dei fratelli Grimm, nutre un amore sviscerato per i grandi classici della letteratura italiana e per il jazz e il blues americano. Spera di poter completare gli studi e continuare a scrivere raccontando la vita che la circonda.

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