Nel Catanese il Natale più bello: ciaramiddari, nanareddi, cone e mustazzoli

Nel Catanese il Natale più bello: ciaramiddari, nanareddi, cone e mustazzoli

di Patrizia Orofino

E’ convinzione comune che dicembre sia il migliore mese dell’anno.

Non soltanto in Sicilia ma in tutto il mondo. Paese che vai, tradizioni che trovi.

Nel senso che in ogni parte del mondo vi sono tradizioni che si perdono nella notte dei tempi. Le abitudini si trasformano quasi sempre in usi e costumi.

Ma è delle tradizioni siciliane e in particolar modo di quelle catanesi che vogliamo parlare.

Ci dà una mano il catanese doc Santo Privitera, giornalista, scrittore e cultore delle tradizioni siciliane.

Si comincia con la filastrocca dicembrina per eccellenza:

E quattru Barbara, o sei Nicola, o tririci Lucia, ‘o vintiquattru ‘a nascita di lu veru Misia.” Nel mondo contadino, nel giorno di Santa Lucia è solito prevedere l’andamento atmosferico dell’anno successivo.

Un metodo empirico che ha un titolo preciso: “I Carannuli di Santa Lucia (le calende di Santa Lucia). Secondo la tradizione, il 13 dicembre è il giorno in cui le giornate cominciano ad allungarsi. Gli anziani dicevano a proposito: “Doppu Santa Lucia, ‘i jorna allongunu di ‘mpassu di cani”. L’aria di festa viene annunciata dal suono delle cornamuse e dalla figura sempre viva di Babbo Natale. Soprattutto per la gioia dei bambini che aspettano il vecchietto panciuto che viene da lontano. Il bianco della barba e il rosso del vestito sono rispettivamente i simboli della neve e il rosso del calore domestico.

‘I Ciaramiddari scendevano di solito dai paesi dell’Etna: Bronte, Maletto, Randazzo.

Erano vestiti da pastori e calzavano “ I Scappitti”, calosce di copertoni allacciati fin sopra le ginocchia. Suonavano le nenie natalizie a chi le richiedesse, per pochi spiccioli o per un dolcino accompagnato da vino liquoroso. Attenzione però: quello che noi conosciamo è lo zampognaro che suona uno strumento composto dall’otre ( ventre di pecora) all’interno del quale si innestano tre canne zufolate. La ciaramella, invece, è una canna di legno lunga con i buchi, simile al clarinetto. Una volta, per tradizione, presepe e albero di Natale si allestivano a partire dalla festa dell’Immacolata che, come sappiamo, cade l’8 di dicembre.

La Novena inizia il 16 per concludersi il 24. Sono i tempi di gestazione. Nove giorni che rappresentano i nove mesi che culminano nel parto. In Sicilia la Novena si identifica col rito della parata della ‘cona’.

La cona è un altarino con all’interno la Sacra Famiglia. Veniva addobbato con ‘sparacogna’, cotone idrofilo e frutti di stagione. Ognuno degli organizzatori metteva nella Cona un dolce o un pane. Si trovavano quasi sempre nei cortili o pubblici o privati. Uno spettacolo popolare che coniuga preghiera e spettacolo. Davanti alla Cona si pregava, si recitava e si cantava. Vi erano delle figure tipiche, i cosiddetti Nonareddi, comunemente intesi “Nanareddi”.

Erano musicisti improvvisati; formavano un complessino di chitarre, mandolini, violini e violoncelli. Erano anziani vestiti con abiti antichi e raffazzonati.

Con loro, il poeta che improvvisava “ottave” dedicate al Bambinello, la Madonna e San Giuseppe. Le litanie invece erano preghiere musicate, la cui composizione si perdeva nella notte dei tempi. I canti della tradizione appartengono all’antico repertorio siciliano de “Ninnareddi”: “. “Dormi splentitu Bamminu”, ‘U zoccu di Natali”, “Susi Pasturi”, “Tu scinni di li stiddi”, “ ‘A Ciaramedda” e altri ancora.

Al termine del momento religioso, le quattro fasi (Annunciazione, cammino doloroso, nascita e adorazione), gli organizzatori chiedevano a “junta”. Così, spente le nove candele poste davanti alla Cona, si improvvisavano balli e canti popolari. I Nonareddi, nel frattempo un po’ alticci per il vino che tracannavano volentieri, suonavano senza stancarsi mai.

Diventava dunque una festa, con i ragazzini che rubacchiavano dalla cona i frutti di stagione, dolci e quant’altro vi era stato depositato a mo’ di abbellimento.

Da qui il detto: “Vi mangiasturu ‘na cona.” Le casalinghe per la notte di Natale preparavano una lauta cena. Baccalà fritto, anguille a brodo, legumi e ‘scacciate’ fanno parte della tradizione natalizia a pieno titolo.

Ricco anche il ‘catalogo’ dei dolci:

cassata siciliana, ficu sicchi, cucciddateddi e mustazzola oltre al panettone con i canditi che non poteva cerro mancare. Nelle mense più povere ci si accontentava solo dei legumi. Vino in abbondanza.

Il tradizionale ceppo davanti al camino era il segno dell’unione familiare. Ma della tradizione fa parte anche la conca attorno alla quale le nonne intrattenevano i nipoti con le loro storielle. Dopo la cena, la tombola. Si giocava anche e carte. Carte siciliane. Gli uomini preferivano la briscola, la scopa oppure azzardavano una zecchinetta.

Le donne e i bambini, il ‘Ti vitti’ e ‘Sette e mmenzu’. Baccarà, poker e scala quaranta erano giochi riservati alle organizzate, nulla avevano a che fare con il focolare domestico. Solo in famiglia la magia del Natale sprigionava il suo fascino.

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