Il mistero degli argenti di Paternò venduti per 30 denari e finiti al Pergamonmuseum di Berlino

Il mistero degli argenti di Paternò venduti per 30 denari e finiti al Pergamonmuseum di Berlino

Gli argenti di Paternò tornano alla ribalta grazie alla riproposizione – da parte del prof. Mimmo Chisari (Zona Franca) – di alcune riflessioni sulle vicende rocambolesche che hanno portato questo tesoro dall’antica Hybla Major (Paternò) al Pergamonmuseum di Berlino.

Il mistero degli argenti di Paternò venduti per 30 denari e finiti al Pergamonmuseum di BerlinoUn tema per cui «L’archeologo berlinese Gertrud Platz Horster, ha curato la recente edizione (2005 a Ragusa) dei materiali del tesoro di Paternò, e recuperato dagli archivi di Zahn una foto ed alcune note in cui lo studioso, oltre a indicare il nome del restauratore del tesoro (Alfred André), conferma il territorio di Paternò come luogo di provenienza e lo data al IV secolo a.C..

…Gli argenti di Paternò, che sono stati restaurati nuovamente nel 1995-1996 e 1999 e sottoposti ad indagini analitiche, rappresentano, assieme al tesoro di Morgantina, una delle più rare testimonianze di argenteria greca del Mediterraneo. Il tesoro fu realizzato in Magna Grecia, probabilmente a Taranto tra il 400 e il 300 a.C., e costituisce l’esempio più antico del genere tra i rinvenimenti del sud d’Italia» (fonte: sito del Comune di Ragusa)

Ma già dal 1912 Paolo Orsi, con “Paternò. Tesoro di argenterie greco-romane” indaga e ci riferisce della storia del tesoro – che a causa di Antonio Capitano e Silvio Sboto (due trafficanti d’arte) – partì per Napoli, Parigi e Monaco già dal 1909; dopo il ritrovamento sull’acropoli da parte di una contadina, come ci riferisce tra l’altro Angelino Cunsolo (da “La Gazzetta dell’Etna”, 31 maggio 1996).

Nel 1924 R. Zahn (Conservatore dell’Antiquarium dei Musei Reali di Berlino) pubblica un autorevole studio sugli argenti, intitolato “Vier griechische Silbergefasse: Stephanos Th Wiegand, dopo che nel 1911 acquistò e acquisì il primo pezzo e successivamente altri sei pezzi, per prestito e per donazione, da parte della famiglia Von Siemens di Berlino, fino agli anni 1913 e 1914.

Il mistero degli argenti di Paternò venduti per 30 denari e finiti al Pergamonmuseum di Berlino
Foto di Francesco Giordano.

Ma gli studi più recenti sono quelli del 2003 di Gertrud Platz-Horster che pubblica Der Silberfund Von Paternò in der Antikensammlung Berlin e di Beatrice Basile che cura tra l’altro – nel 2005 – la mostra promossa dalla Sovrintendenza di Ragusa (su progetto appunto di Beatrice Basile, Giovanni Di Stefano, Saverio Scerra, Anita Crispino con l’allestimento di Legno Design Atelier Siracusa, Mario Russo, e Salvatore Balistri). Solo nel 2006 la mostra si sposta a Paternò dal 24 febbraio al 2 giugno e per la prima volta la città può ammirare questo tesoro che forse con troppa superficialità e con la complicità di qualche trafficante, aveva fatto andare via come tanti altri reperti. Resta da chiedersi come mai fu Ragusa a promuovere questo evento e non Paternò.

Oltre al già citato Mimmo Chisari, altri studiosi hanno indagato nel tempo, in questa direzione e vogliamo ricordare tra tutti, Pippo Virgillito su “Freccia verde” e Francesco Giordano, con un pezzo provocatorio “E gli argenti di Paternò diventarono tedeschi”, in “I Paternesi” de La Sicilia nel 2006, a testimonianza dell’interesse da parte degli intellettuali locali, senza mai registrare, un riscontro rispetto alle politiche culturali per la città (persino su wikipedia troviamo tracce degli argenti) e dobbiamo ringraziare la giunta del tempo che ci diede l’opportunità di ammirarli.

Ora la questione non è più riflettere su come sono arrivati a Berlino ma quando torneranno a Paternò, nella loro sede naturale. E se vogliamo dirla tutta, ci sarebbe anche la questione della lapide di Julia Florentina (una bambina del III-IV sec. nata a Hybla in odor di santità che viene seppellita – dopo una visione divina – nel cimitero dei santi di Catania, accanto a Sant’Agata e Sant’Euplio) che invece di stare a Paternò è a Parigi esposta al Louvre (una copia invece è a Catania); senza dimenticare il cippo di Venere Hyblense, ritrovato dal Placido Bellia di cui possediamo una copia per caso grazie al Kiwanis di Paternò.

Il mistero degli argenti di Paternò venduti per 30 denari e finiti al Pergamonmuseum di Berlino
Foto di Mimmo Arcoria

Ma cose si deduce da questa storia? Che qualcuno (…) era già consapevole dai primi anni del ‘900 del potenziale archeologico della città. Che il seppellimento della città di Hybla Major con il cimitero (oggi monumentale) non è stato un caso. Che gli sventramenti degli anni ’50 nell’area adiacente il Santuario della Consolazione e del tornante sotto il castello erano un pretesto per avviare una campagna di scavi indiscriminata. Che aver parlato solo di città di origine medievale – omettendo le sue radici greco-romane – è stato un errore storiografico.

Che gli argenti non possono essere piovuti dal cielo per caso ma dimostrano un’urbanità evidente. Che la presenza di reperti di varia provenienza (Taranto, Agrigento, Siracusa, Lipari, ecc.) dimostra la centralità di questa città e la sua importanza commerciale, militare e religiosa. Che non ci resta altro che ricercare, studiare e indagare con nuovi occhi. Esiste una città pre-cristiana oltre a quella cristiana.

Allora bisogna andare oltre l’esercizio della letteratura, della narrazione sterile e dedurre dalla storia; agire di conseguenza, per avviare ulteriori ricerche. Bisogna pretendere il ritorno del patrimonio disperso nel mondo: trafugato, venduto, depositato e sepolto sotto la polvere; e ancora pretendere la costituzione di un vero museo archeologico.

Parlare della storia, della memoria, del ricco patrimonio storico-culturale-artistico senza determinare deduzioni investigative utili per revisionare i paradigmi consolidati significa non avere coraggio culturale. Non si possono elencare le ricchezze di un territorio – e sono tante – senza tirarne le somme sul piano dei programmi politici e culturali per sviluppare nuove economie, avviando una narrazione di sistema, svelando la stratigrafia dei paesaggi.

Non si possono nascondere le evidenze e questa città oggi ha solo bisogno di riemergere, svelare se stessa e la sua vera storia. A meno che non si voglia credere che gli argenti di Paternò (e tutti gli altri reperti sparsi nel mondo) siano piovuti dal cielo e fuggiti in groppa a un asinello, per caso, verso la terra tedesca. Riprendiamoci gli argenti e non solo! Morgantina insegna.

 

Foto di Francesco Giordano.
La foto dell’acropoli è di Mimmo Arcoria.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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